La guerra è fatta di immagini orrende, spesso impossibili da pubblicare sui canali d’informazione ufficiali. La morte declinata in tutte le sue forme peggiori: violenta e smembrante. Ma ci sono immagini altrettanto disumane che in apparenza non hanno lo stesso carico di brutalità, e passano, lasciandoci sul momento indifferenti, nella consapevolezza che c’è di peggio. Molto peggio.

Eppure, se si indugia a riflettere, ci si rende conto che la sofferenza dilaniante non è solo nelle ferite che possono causare schegge e proiettili, ma anche in cose apparentemente più banali, come nell’immagine di un bimbo piccolo con i guanti di lana indossati male e le dita di stoffa vuote, senza che nessuno possa preoccuparsi, in quel frangente, di aiutarlo.

Chiunque abbia avuto a che fare con le esigenze di un bambino di pochi anni, sa bene quanto possa essere difficoltoso imbacuccarli quando fa freddo, e quanto buffi e divertenti possano apparire mentre cercano di districarsi tra sciarpe e cappelli, ostacolati nei movimenti da quel surplus di indumenti caldi. È una di quelle banalità preziose che ogni genitore ha affrontato e apprezzato, ridendo di cuore quando il proprio bambino, una volta bardato prima di uscire quando fa freddo, cerca di sbirciarti da sotto il cappello di lana che, inevitabilmente, gli è già calato sugli occhi appena indossato.

Ma la stessa scena, in un contesto di guerra e di terrore, è capace di lacerarti il cuore e darti la cifra precisa di cosa significhi davvero ciò sta accadendo in Ucraina, dove migliaia di bambini sono costretti a fuggire, a volte anche da soli, nell’ostilità di un inverno che non accenna a cedere il passo.

È la scena che si è intravista, durante l’ultima puntata di Propaganda live, in un reportage di Francesca Mannocchi, inviata di La7, che sta documentando l'invasione russa. Dopo aver mostrato gli effetti dei bombardamenti sulle città ucraine e le conseguenze delle armi vietate dalle convenzioni internazionali, come le cluster bomb (le micidiali bombe a grappolo che esplodono ad altezza uomo), Mannocchi ha mostrato un momento dell’evacuazione attraverso un corridoio umanitario dei civili, soprattutto bambini, in una zona già controllata dai russi.

Una lunga teoria di ambulanze, furgoni e pullmanini presi d’assalto da donne con i passeggini e padri con i propri bambini in braccio. Si percepisce chiaramente la necessità di fare in fretta, con gli operatori umanitari che sollecitano i fuggitivi a sbrigarsi. Confusione e disperazione, mentre i genitori sistemano i bimbi più grandicelli sui sedili, uno accanto all’altro, probabilmente senza poterli accompagnare in questa fuga per la salvezza. Alcuni sono ancora attaccati a flebo e sondini nasogastrici, molti piangono e chiamano la mamma. Tra questi piccoli ce n’è uno, forse una bambina, che non è ferita, ma ha guanti senza dita dentro perché calzati alla bell’e meglio, con le mani che non riescono ad afferrare nulla, neppure il cappello di lana che gli è stato calato in fretta sulla testa e che ora scende a coprirgli gli occhi impedendole di vedere ciò che le accade intorno.

Ecco, nella silhouette di quelle mani che si chiudono in maniera innaturale come se fossero senza ossa, in quel cappello che diventa un ostacolo insormontabile senza che ci sia un genitore che possa rimuoverlo, magari con un sorriso divertito e ricambiato, c’è tutto il dramma di una guerra che non sta solo uccidendo e mutilando, ma sta anche smembrando famiglie, insegnando a una nuova generazione a odiare chi, un tempo, ti ha costretto a fuggire con un cappello calato sugli occhi che non riuscivi a tirare su.

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