Sono scomparse dai bordi delle strade, dagli anfratti bui e degradati dove attendevano i clienti per pochi euro. Nigeriane, bulgare, romene, spesso anche minorenni, vittime di tratta, prostitute sotto ricatto, trovatesi in Italia con l’inganno, inseguendo altri progetti di vita.

Ora se ne sono perse le tracce e le stesse associazioni che cercano di stare loro vicine, di indurle a denunciare o che cercano di restituire loro libertà e speranza, faticano ad avere un quadro completo.

 

Ne abbiamo parlato con Marina Galati, referente del progetto regionale Incipit, che si occupa, tra l’altro, di tratta sessuale. Un progetto complesso il loro, difficile e rischioso che si avvale di unità di strada, operatori che avvicinano le ragazze, cercano di capire in che situazioni si trovino, per poi strapparle alla morsa ferrea dei loro sfruttatori, a ricatti spesso impastati a riti vodoo.

 

Ora il Covid, la quarantena, la cappa dei controlli delle forze dell’ordine sembrano “averle cancellate” ma così non è.

 

Alcune sono state spostate nella prostituzione “indoor”, quella di livello più alto, negli appartamenti, altre sono ritornate nei loro Paesi. In quest’ultimo caso, ci spiega Marina Galati, si tratta delle ragazze provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est. Le nigeriane, in particolare, sono tutta un’altra storia, ancora più drammatica e la preoccupazione sta infatti nel capire dove possano essere stipate, come stiano sopravvivendo, come le stiano trattando i loro protettori.

 

In una prima fase Incipit è riuscito a mantenere con loro un contatto soprattutto per quanto riguarda la salute. Grazie ai social e non solo le giovani hanno potuto avere consulti medici e ginecologici. Ma in questi mesi, al contrario di quanto accaduto nell’ambito della tratta lavorativa, non ci sono state denunce. E questo fa pensare che siano sotto controllo serrato dei loro sfruttatori, ancora una volta prigioniere, e probabilmente mercificate anche ora.