Negli interrogatori agli atti del procedimento che vede indagato il ginecologo in servizio al nosocomio di Catanzaro le pazienti spiegano la presunta prassi seguita e i bonifici di 5mila, o addirittura 7mila euro in favore delle costose strutture sanitarie campane
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«Quando aprirà il centro pma la mole di persone che dalla Calabria si recherà a Napoli diminuirà perché anziché pagare 3.500 euro ne dovrà pagare 1.500 euro per due volte». A discuterne a bordo di un’auto in movimento sono Fulvio Zullo, medico ginecologo in forza al reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro, e Pietro D’Alessandro, anche lui medico ginecologo di Napoli (non indagato).
L'apertura del pma a Catanzaro
I due intercettati, nel febbraio del 2019, discutono dei risvolti che la prossima apertura di un centro di procreazione medicalmente assistita all’azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro potrebbe avere sul “flusso” di pazienti che dalla Calabria si recano a Napoli per sottoporsi ai trattamenti per contrastare l’infertilità. Si tratta di una delle accuse già mosse al medico ginecologo che nel luglio dello scorso anno è stato rinviato a giudizio con l’accusa di abuso d’ufficio in concorso con Roberta Venturella, responsabile del centro, «per aver indirizzato esplicitamente per la successiva procedura di pma» una serie di pazienti in due strutture campane.
Le strutture campane
La prima è la clinica Mediterranea «ove operava sino al 2015 l’associazione tra professionisti “Cappiello Del Negro” riconducibile al medesimo Zullo per il tramite delle quote detenute al 15% da Serena Del Negro». La seconda è la casa di cura Ruesch «ove Zullo riveste la posizione di medico specialistica in ginecologia per il tramite dell’associazione tra professionisti “Genera Napoli” di cui Zullo detiene il 50% delle quote». La Procura gli contesta un ingiusto vantaggio patrimoniale quantificato in 719mila euro, pari alla somma versata da tutte le pazienti che si sarebbero recate nelle strutture sanitarie campane per sottoporsi alle pratiche di procreazione medicalmente assistite.
I bonifici
In alcuni casi 3.500 euro, appunto; in altri casi anche 5mila o addirittura 7mila euro. E lo si evince dagli interrogatori cui gli investigatori hanno sottoposto le pazienti che si sono recate nelle cliniche campane. Diversi i verbali depositati agli atti del procedimento in cui le donne in alcuni casi disconoscono perfino il piano terapeutico. Gli interrogatori vanno avanti dal settembre 2017 fino a marzo del 2018.
Gli interrogatori
Una di queste dichiara «di aver effettuato le visite ginecologiche nello studio privato del dottor Zullo a Sarrottino mentre il piano terapeutico le è stato rilasciato dall’ospedale Pugliese; di essersi recata a Napoli presso la clinica Ruesch tre volte e di non aver scelto la clinica dove sottoporsi alla pma in quanto il professor Zullo le disse che tale pratica doveva essere effettuata necessariamente presso detta clinica e di aver pagato 7mila euro in bonifici a favore della clinica Ruesch e di una associazione chiamata Genera Napoli». Tutti gli importi dichiarati nelle decine di verbali di interrogatorio oscillano tra 3mila e 5mila euro.
Le diagnosi smentite
E la prassi seguita viene confermata da tutte le donne interrogate che in alcuni casi smentiscono la diagnosi contenuta nel piano terapeutico: «Confermo di aver ricevuto la prescrizione del piano terapeutico che mi ponete in visione. Confermo di aver eseguito la cura con il farmaco ma non confermo la diagnosi di endometriosi ivi riportata. Me ne accorgo solo ora che mi ponete in visione tale documento che la diagnosi non è quella che mi riguardava» spiega una paziente. «Sinceramente non confermo la diagnosi perché a memoria non mi è stato mai riscontrato un mioma ma mi è stata diagnosticata una infertilità presunta» aggiunge una seconda paziente.
Terapia non veritiera
«Sì confermo di aver ricevuto la prescrizione di tale piano terapeutico ma non confermo la diagnosi in quanto non sono stata affetta da mioma inoperabile – aggiunge una terza - e non confermo di aver eseguito la cura farmacologica poiché non ho mai ritirato il farmaco. Preciso che fu lo stesso ginecologo, ovvero il professor Zullo, a precisarmi che in realtà la diagnosi riportata nel piano terapeutico non era veritiera ma serviva per permettermi il rilascio del farmaco». Secondo la ricostruzione, nella quasi totalità dei casi le donne si sarebbero poi recate nelle cliniche campane su precisa indicazione del medico.
Le costose cliniche campane
Questa infatti la conclusione cui giungono gli investigatori nelle informative depositate agli atti: «Zullo facendo leva sulla sua autorità di professore universitario, primario e massimo esperto di tecniche di procreazione medicalmente assistite profittando della debolezza morale e della facile persuasione delle pazienti che a lui si rivolgevano per curare e superare le difficoltà incontrate nella ricerca di una gravidanza prospettava loro l’assoluta necessità di sottoporsi ad interventi di pma immediatamente ed unicamente presso le cliniche napoletane dallo stesso indicate rappresentando tale soluzione come l’unico modo certo per ottenere una gravidanza nonché omettendo di informarle dell’esistenza di pratiche terapeutiche alternative e meno invasive e della possibilità di ricorrere alla pma presso strutture pubbliche calabresi meno costose di quelle campane».