Non è ancora possibile porre la parola “fine” all’operazione denominata "Sisifo" scattata la notte del 7 marzo 2007 quando la Guardia di Finanza di Lamezia Terme arrestò 7 soggetti poiché ritenuti responsabili di avere posto sotto usura un imprenditore lametino operante nell’impiantistica elettrica che versava in stato di bisogno.

 

Gli indagati Salatino Antonio, Trovato Concetto, Giampà Vincenzo, Notarianni Rosario, Notarianni Giovanni, Greco Sergio e Olandini Francesco avevano chiesto ed ottenuto di essere giudicati con rito abbreviato. Il gup del Tribunale di Lamezia Terme il 18 marzo 2008 ha condannato Giampà Vincenzo ad anni 7 e mesi 4 di reclusione ed euro 1.400,00 di multa; Greco Sergio ad anni 5 di reclusione ed euro 12.000,00 di multa; Trovato Concetto ad anni 4 e mesi 2 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa; Salatino Antonio ad anni 4 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa; Notarianni Rosario ad anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euro 6.000,00 di multa; Notarianni Gianluca ad anni 3 di reclusione ed euro 6.000,00 di multa; Olandini Francesco ad anni 3 di reclusione ed euro 6.000,00 di multa, disponendo altresì la confisca dei beni degli imputati.

 

La Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza del 13 marzo 2009 ha però assolto tutti gli imputati, rimettendoli in libertà dopo due anni di custodia cautelare in carcere, accogliendo l’eccezione difensiva secondo cui le dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa, Pasquale Miscimarra, erano inutilizzabili per un vizio procedurale, in quanto questi doveva essere sentito come indagato in procedimento connesso con la presenza di un difensore, e non invece come persona informata sui fatti.

 

Il procuratore generale di Catanzaro ha quindi proposto ricorso per Cassazione e la Suprema Corte, con sentenza datata 1 ottobre 2010, ha annullato le assoluzioni ritenendo che le dichiarazioni della persona offesa fossero invece valide, per cui gli imputati (che comunque restavano a piede libero) dovevano essere nuovamente processati. Il nuovo processo di appello si è concluso con sentenza del 20 luglio 2016, con la quale la Corte di Appello di Catanzaro ha confermato integralmente la sentenza di condanna di primo grado nei confronti di tutti gli imputati, nonché la confisca che con la stessa era stata disposta.

 

Quasi tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione e la sesta sezione penale della Suprema Corte ha ora integralmente accolto il ricorso proposto nell'interesse di Notarianni Rosario, difeso dall'avvocato Aldo Ferraro, disponendo che debba essere celebrato un nuovo processo di appello per verificare se, come dedotto dalla difesa, vi siano stati o meno interessi oltre il tasso-soglia fissato dalla legge, che i giudici di appello non avevano considerato nonostante la richiesta della difesa lo avesse chiesto. Accolto anche il ricorso proposto da Trovato Concetto, difeso dagli avvocati Antonio Larussa e Giovanni Aricò, disponendo l'annullamento senza rinvio per un capo d'imputazione perché estinto per prescrizione, l'annullamento con rinvio per un secondo capo di imputazione, nonché l'annullamento della confisca, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per rideterminare la pena essendo stato confermata la condanna per un terzo capo d'imputazione. Accolto pure il ricorso proposto da Giampà Vincenzo, difeso dall'avvocato Pino Spinelli, in relazione alla recidiva nonché in relazione alla disposta confisca, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro per rideterminare la pena. Accolti, infine, i ricorsi proposti da Salatino Antonio, Greco Sergio, e Olandini Francesco in relazione alla disposta confisca, rimandando gli atti alla Corte di Appello di Catanzaro per compiere una nuova valutazione sul punto.

Nel resto sono stati rigettati i ricorsi proposti dagli altri imputati.

Nel collegio difensivo vi sono gli avvocati: Aldo Ferraro, Antonio Larussa, Pino Spinelli, Lucio Canzoniere, Giovanni Aricò, Gianluca Careri.