«L’avvocato Romeo era appoggiato da Giorgio De Stefano e dallo schieramento destefaniano. Mentre Matacena era appoggiato dallo schieramento opposto». Lo ha affermato il collaboratore di giustizia Pino Liuzzo nell’udienza del processo “Gotha”, a Reggio Calabria.

Rispondendo alle domande dei pm della Dda Stefano Musolino e Walter Ignazitto, il pentito ha riferito circa le candidature al Parlamento di Amedeo Matacena, oggi latitante a Dubai, e dell’avvocato Paolo Romeo, ritenuto la testa pensante della ‘ndrangheta e principale imputato del processo “Gotha”. Il pentito ha raccontato di avere incontrato Romeo in compagnia dell’avvocato Totò Marra, altro imputato, che secondo Liuzzo «era a disposizione di tutte le ‘ndrine».

Il collaboratore, inoltre, ha riferito che nel 1994, Cesare Giglio chiese il sostegno dei Rosmini per la candidatura di Romeo che era appoggiato anche dall’avvocato Giorgio De Stefano che, ha aggiunto, fa «parte dell’area grigia, a livello massonico. Diego Rosmini rifiutò. Noi avevamo delle persone in carcere che dovevano risolvere i loro problemi giudiziari – ha detto Liuzzo – Nel momento che il cavaliere Matacena spinge il figlio per entrare in politica, lui garantisce a Diego Rosmini di riuscire, tramite le sue amicizie e la massoneria, a smontare i processi. Per i Rosmini non era una questione di soldi, il problema erano le decine di persone con l’ergastolo. Mentre i De Stefano erano tutti liberi». Il motivo gliel’avrebbe svelato il boss Diego Rosmini: «Riteneva la questura infiltrata dai De Stefano. Cesarino Giglio mi disse che Matacena poteva avere i soldi ma Romeo aveva tutti gli uffici nelle mani. Si sapeva che l’avvocato De Stefano e l’avvocato Romeo avevano il monopolio in tutta Reggio e in tutti gli uffici».

Nell’udienza di ieri doveva essere sentito anche il neo-pentito Sebi Vecchio, ex assessore comunale di Reggio Calabria. La sua deposizione, però, è stata rinviata al 17 marzo. Al termine dell’udienza, Romeo ha reso dichiarazione spontanee contestando quanto detto da Liuzzo. «Semplificare oggi il consenso elettorale che veniva in quegli anni a Romeo – sono le sue parole – attraverso l’apporto delle cosche, dei De Stefano, dei Libri, significa negare l’evidenza, negare dati che parlano da soli e dimenticarsi chi sono tutti gli altri candidati. Quelli che sono risultati eletti. Significa dimenticare ad esempio il processo Mancini che verrà assolto a Catanzaro in un processo nel quale sicuramente vi è traccia dei rapporti o dei tentativi delle organizzazioni criminali di stabilire rapporti privilegiati con questi politici di livello nazionale che esercitavano un potere anche a livello regionale».

Romeo ha anche allontanato la sua figura da quella della cosca De Stefano: «C’è la prova documentale, attraverso la lettura dei risultati elettorali, che chi vi parla nei comuni o nelle contrade che sono ritenute permeabili dalla criminalità organizzata, non ha mai preso voti o comunque, tra i candidati che sono risultati, è quello che ha preso meno voti di tutti». Il riferimento è alle politiche del 1992 quando, secondo Romeo, «l’avvocato De Stefano ha sempre dichiarato la sua militanza nella Democrazia Cristiana e non ha mai fatto mistero, quale componente della Dc, di aver sostenuto i candidati della sua corrente. E il candidato della corrente dell’avvocato De Stefano, della sinistra democristiana di allora era l’onorevole Leone Manti».