«La dignità e la verità valgono più di una sentenza. Condannato per "non aver commesso il fatto"». È il commento del senatore di Forza Italia Marco Siclari alla sentenza del processo "Eyphemos" concluso oggi pomeriggio in aula bunker a Reggio Calabria dove il gup lo ha condannato a 5 anni e 4 mesi di carcere per scambio elettorale politico mafioso.

«Ho provato - scrive sui social il parlamentare di Villa San Giovanni - sulla mia pelle ciò che non credevo, cioè come si potesse nel nostro Paese condannare un cittadino onesto ed totalmente estraneo ai fatti contestati, in questo caso anche espressione della democrazia rappresentativa, membro della più alta camera della Repubblica, senza alcuna prova e senza alcun indizio».

«Il pm nell'ordinanza mi accusa di aver vinto l'unico collegio del Sud - continua -, come centrodestra, contro il candidato del Movimento Cinque Stelle, cosa che non poteva non accadere, secondo l'accusa, se non per il tramite dei voti mafiosi considerando che siamo a Reggio Calabria. Ma, cosa molto grave, è che il pm non tiene conto che il candidato del M5S è stato espulso dal movimento stesso 18 giorni prima del voto. Ho atteso in prima persona, in un'aula del tribunale dove non ero mai entrato prima d'ora, la sentenza del giudice».

«Mi chiedo ogni giorno da 578 giorni perché mai avrei dovuto 'sperare' in un giudizio positivo sapendo di non aver commesso il fatto, sapendo che la Procura ha commesso un grave errore di valutazione elettorale, sapendo che non ho mai avuto alcun contatto, ne diretto ne indiretto, con un 'soggetto' fino ad oggi non mafioso. Il vantaggio, secondo l'accusa, che avrei apportato al clan sarebbe il trasferimento di una dipendente di Poste Italiane. Trasferimento smentito dagli stessi dirigenti e funzionari di Poste Italiane, che sono stati oggetto di indagine come provato dalle intercettazioni effettuati dalla stessa Procura».

«Andrò avanti - conclude Siclari - fino alla fine per aver una sentenza giusta. In attesa delle motivazioni, mi dispiace intanto prendere atto, da uomo dello Stato, che il dispositivo della sentenza non rispecchia quello che emerge evidentemente dagli atti. Sono certo che il grado di Appello renderà giustizia e rispetterà le evidenze probatorie circa la mia estraneità dai fatti contestati. Andrò avanti a testa alta più di prima, perché so di non aver agito mai nell'illegalità. Il mio pensiero, in questo momento va alla sofferenza dei miei cari e della mia famiglia. Ai miei concittadini dico: 'Un'ingiustizia fatta in un luogo è un'ingiustizia fatta in ogni luogo' e tocca ciascuno di noi nella nostra onesta e integrità. Ho scelto l'abbreviato perché credevo in uno Stato di Diritto».