Prima di essere investito dal camion di Raffaele Pisano, Donato Bergamini non fu soffocato in modo meccanico. I segni di sofferenza polmonare rilevati in laboratorio sono successivi e non precedenti all’incidente mortale del 18 novembre 1989. In tal senso, la rottura dei suoi setti alveolari, non sarebbe una delle prove principe dell’omicidio, bensì una reazione dell’organismo a ben altro insulto: il passaggio del pesante automezzo sul suo corpo.

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Sono le conclusioni a cui è giunto il professor Francesco Maria Avato. Lui stesso lo ha spiegato in modo chiaro, quasi scolastico, nel corso dell’ennesima udienza – la cinquantatreesima – del processo che si propone di far luce sui tragici fatti di Roseto Capo Spulico e vede Isabella Internò imputata con l’accusa di omicidio volontario. Avato, che all’epoca dirigeva già l’istituto di medicina legale dell’Università di Ferrara, è colui il quale per primo ha eseguito l’autopsia sull’allora calciatore del Cosenza, a cinquanta giorni dal suo decesso. È un personaggio chiave della vicenda al quale, per troppo tempo, è stato assegnato il ruolo di oggetto misterioso. Oggi, infatti, era la prima volta in trentaquattro anni che veniva sentito con riferimento al caso Bergamini.

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