L’ex sindaco di Riace deve rispondere di associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Sul banco degli imputati non c’è solo lui ma anche il suo modello di integrazione dei migranti
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È prevista per oggi, a distanza di cinque anni esatti dal suo clamoroso arresto, la sentenza di Appello nei confronti di Mimmo Lucano, l’ex sindaco dell’accoglienza passato alla storia come l’artefice del “modello Riace” e bollato come truffatore dal tribunale di Locri che, nel settembre di due anni fa, lo ha condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di reclusione per i reati di associazione a delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio.
Ore 17.20 - La sentenza
Un anno e sei mesi con sospensione della pena. È questa la sentenza di Appello - pronunciata dopo quasi sette ore di camera di consiglio - nei confronti di Mimmo Lucano. Una decisione che ribalta quella pronunciata dal tribunale a Locri in primo grado. (LEGGI QUI PER APPROFONDIRE)
Ore 10.30 - Giudici in camera di consiglio
Si sono ritirati in camera di consiglio i giudici della Corte d'appello di Reggio Calabria, presieduta da Elisabetta Palumbo, per emettere la sentenza di secondo grado nei confronti dell'ex sindaco di Riace Domenico Mimmo Lucano.
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In primo grado era stata emessa una condanna pesantissima – quasi il doppio della pena richiesta dall’allora procuratore capo Luigi Alessio – arrivata dopo un processo controverso e circondato da una eco mediatica spaventosa che per mesi si è abbattuta, oltre che sui 18 imputati, su quello che rimaneva del progetto di accoglienza e integrazione che aveva portato un minuscolo paesino della Locride ad essere studiato nelle università di mezzo pianeta. Ora, a distanza di un lustro dall’operazione della guardia di finanza, di quell’idea di un paese che rinasce sotto la spinta delle migrazioni, resta pochissimo. Solo gli sbarchi di disperati che con cadenza quasi quotidiana sono continuati ad arrivare sulle coste dello Jonio sono rimasti gli stessi.
Il carcere non mi spaventa
«L’idea del carcere non mi spaventa – aveva scritto Mimmo Lucano in una lettera ai giudici consegnata poco prima delle arringhe degli avvocati Pisapia e Daqua – quello che ho fatto interessa me personalmente per questo processo, ma ha un valore molto più grande: Riace ha trasmesso un messaggio al mondo, quello della speranza. Ho vissuto anni di grande amarezza e di sfiducia nella giustizia, non solo e non tanto per la limitazione della libertà personale, quanto per l’ingiusta campagna di denigrazione che si è abbattuta sull’esperienza di ripopolamento del borgo vecchio di Riace aperto all’accoglienza dei migranti. Come tutti gli esseri umani posso avere commesso degli errori – scriveva ancora Lucano – ma ho sempre agito con l’obiettivo e la volontà di aiutare i più deboli e di contribuire all’accoglienza e all’integrazione di bambini, donne e uomini che fuggivano dalla fame, dalla guerra, dalle torture».
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Le accuse
Bollato dagli avvocati difensori dell’ex sindaco (e da buona parte dell’opinione pubblica nazionale) come politico, il processo scaturito dall’operazione “Xenia” è quindi arrivato alla conclusione. Oggi, dopo avere ascoltato le repliche dei procuratori generali, i giudici di secondo grado entreranno in camera di consiglio per stabilire se Mimmo Lucano abbia davvero costruito il modello Riace «all’opposto dello spirito d’accoglienza; un sistema che ha attirato congrui finanziamenti e che è caratterizzato da una mala gestio che vede come parte lesa i migranti stessi». Ed è sulle presunte distrazioni di fondi derivanti dai finanziamenti del Ministero degli interni che i giudici di primo grado hanno costruito la prima pesantissima sentenza di condanna. «Qui l’accoglienza è stata mitizzata – aveva detto durante la requisitoria finale l’ex procuratore di Locri – il denaro arrivava cospicuo, ma ai migranti finivano solo le briciole perché tutto veniva gestito mirando al consenso personale per coltivare le proprie clientele elettorali».
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Caduti alcuni capi d’imputazione, l’accusa ha riformulato la richiesta di pena, riducendo a 10 anni e cinque mesi quella per Mimmo il Curdo. Una decisione comunque spropositata per gli avvocati difensori che sulla povertà economica di Lucano hanno battuto più volte. «In tutta la sua vita ha sempre fatto quello che serviva agli altri – ha detto in fase di arringa finale l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia – e non quello che serviva a sé stesso. Manca il dolo e manca la consapevolezza e la volontà di un vantaggio economico. Risulta dalla lettura di tutti gli atti processuali che Lucano non aveva un soldo sul proprio conto corrente».