L’occupazione dell’Istituto Valentini-Majorana proseguirà fino a lunedì. Ecco il racconto dei ragazzi: le battute pesanti e le promesse di voti migliori in cambio di immagini esplicite (ASCOLTA L'AUDIO)
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C’è un certo dolore nascosto in un sorriso e due fossette mentre un megafono chiama qualcuno che non si trova. Betulle ricurve, rami spioventi, due panchine di pietra circolare, una bici che impenna, tutto è testimone di una promessa: «Non finirà presto, andiamo avanti». Cartoline dal liceo Scientifico Majorana-Valentini, fino a ieri una scuola qualunque, oggi cuore di un tumulto di storie sgualcite.
Le testimonianze delle ragazze
Maria, chiamiamola così, ha diciotto anni e dice che adesso sta bene, che ora è grande, di paura non ne ha più. Si tira su il cappotto da adulta, color cammello. «Avevo quindici anni e dovevo firmare il programma, ero in sala professori con altri ragazzi. Il mio insegnante a un certo punto, prima che firmassi io, mi ha allungato il suo telefono e ha aperto la fotocamera: “Vai in bagno e fatti una foto del seno, così prendi la sufficienza”». Scuote la testa. «Così mi ha detto ma mica era vero, i voti erano già decisi non si potevano cambiare» e sembra ancora addolorata anche da quell’inganno, dalla bugia.
È un racconto lungo, tagliato dal sole di una finta primavera, mentre è solo un inverno camuffato dal bel sole. Oltre la cancellata chiusa del liceo, partono le scariche di una musica disco anni 90. Si respira un’aria di smarrimento, di cose fuoriuscite e sfiatate. I racconti si accavallano alla rabbia acerba che s’imbizzarrisce facilmente. I ragazzi fanno servizio d’ordine al cancello con l’aria di chi ha tutto sotto controllo. Sembra che tutti abbiano qualcosa da dire ma ad alta voce.
La dirigente: faremo chiarezza su tutto
Per parlare coi giornalisti, i guardiani improvvisati agli accessi vanno a chiamare i rappresentanti. Hanno il fiato corto quando arrivano e spiegano che fino a lunedì non se ne parla di sbaraccare. La dirigente, oggi, non parla. È dentro l’edificio con il personale mentre gli insegnanti ancora attoniti, sono tornati indietro, a casa propria perché neanche oggi si fa lezione. Questa mattina le catene del cancello bianco sono state spezzate con le tronchesi e le attività amministrative riavviate. Si farà chiarezza su tutto, ha promesso ieri la dirigente che guida la scuola dalla fondazione, mentre la macchina giudiziaria intanto s’è messa in moto e farà il suo corso e porterà, probabilmente, all’apertura di un’inchiesta formale.
«Ho raccontato tutto ai genitori, e lui è sparito»
«Non potete entrare», il ragazzo gesticola e la felpa gli si apre sul davanti. La bidella maneggia un mazzo di chiavi e il cancello si richiude. Sarà difficile arginare gli effetti di una tempesta perfetta in una scuola dove ieri si preparavano progetti e interrogazioni, al massimo si faceva la conta delle Dad e oggi ci si interroga su cosa sia successo, quando e perché. Una cosa è certa: un’occupazione per denunciare presunte molestie e comportamenti poco ortodossi, in Italia non s’era mai vista.
«Ho raccontato tutto ai miei genitori, e per due mesi il professore è sparito – continua Maria -. Poi, però è tornato e ho cominciato ad avere attacchi di panico. L’ho incrociato nel corridoio, è capitato, non ha neanche abbassato lo sguardo, mi ha guardata dritta in faccia. Ho pensato: ecco, lui sa quello che ha fatto». Ci sono altre ragazze, dice, pronte a testimoniare.
«Lui faceva sempre battute sul fisico, alcune esplicite. Io mi stavo appena ambientando, ero al primo anno e lui aveva l’età di mio padre, pensavamo tutti fosse un suo modo di scherzare. Quel giorno della firma non ho realizzato subito quello che stava accadendo, quello che mi aveva detto. Non ho avuto la lucidità di reagire. Poi sono tornata in classe e ho pensato: “Sta succedendo a me?”».
Una petizione con oltre mille firme
Su change.org la petizione che ha dato l’inizio al caso ha raggiunto 1100 persone che stanno sostenendo la causa. A leggere i commenti e le testimonianze riportate da una pagina Instagram, è facile prevedere come la faccenda sia solo agli inizi.
Tina, altro nome inventato, dalla scuola ne è fuori da tre anni. Ha un’altra vita in un’altra città ma le interrogazioni di matematica ce le ha bene in mente. «Le battute sul mio petto quando alla lavagna dovevo parlare di seno e coseno, me le ricordo. Lui faceva continue allusioni e questo legittimava alcuni compagni a unirsi a questi atteggiamenti ambigui. Io avevo quindici anni quando è diventato il mio professore e mi fidavo perché lui conosceva la mia famiglia, per me era un secondo padre e adesso resta solo tanta rabbia».