È fin troppo chiaro che dopo circa 15 mesi di clausura più o meno continuata, o comunque con tante limitazioni a causa del Covid, la possibilità di praticare sport in compagnia e all’aria aperta sia considerata una sorta di dono. E anche per quanto ci riguarda, come ovvio, è così. Ma vedere il porto di Catanzaro diventare teatro di un megaraduno degli amanti del fitness (peraltro nel pieno rispetto delle normative anti-Covid, per carità) ci impone degli interrogativi. Tutti naturalmente rivolti al futuro che attende un sito spesso definito strategico e di primaria importanza per il vastissimo territorio.

Certo, come premesso, il luogo si presta anche ad eventi rivolti alla cura della forma con l’opportunità di allenarsi vista mare e magari con una bella brezza rinfrescante e ottima per ristorare gli sforzi fisici compiuti. Roba che di meglio, per uno sportivo amatoriale, non si potrebbe desiderare malgrado la vicinanza della pineta in cui le condizioni sono simili. Ma questa è un’altra storia. C’è da sottolineare infatti come l’infrastruttura di cui stiamo parlando avrebbe in realtà tutt’altra vocazione e - in particolare - mission molto diversa. Che peraltro non coincide con il divieto di continuare a far jogging. Ci mancherebbe.

Ma quanto si rileva è che, tra annunci e polemiche, il porto allo stato può al massimo servire alle attività dei ginnasti per hobby; al pascolo... dei cinghiali; al bivacco finora quasi semiclandestino in tempi di pandemia di gruppi di amici i quali consumano pasti e poi lasciano sparpagliati a terra i rifiuti prodotti e cose simili.

Un dato preoccupante e desolante per un sito che dovrebbe rappresentare il fiore all’occhiello della città, sulla carta volano di sviluppo socioeconomico per il capoluogo e l’intera area centrale della Calabria con oltretutto 20 milioni di euro di finanziamento regionale giacenti da anni in un cassetto. Una cifra ingente, accantonati da parecchio, che servirebbe per la realizzazione degli interventi nell’ormai ‘sgarrupata’ infrastruttura del quartiere marinaro catanzarese. Che resta in condizioni di semiabbandono con nessuna prospettiva, almeno in tempi brevi, di essere tramutata in una grande opera.