Ponti di Genova e Catanzaro, lo stesso Morandi metteva in guardia: «Occhio alle crepe»

VIDEO | Scoperta una relazione dell’ingegnere che progettò il viadotto di Genova e quello del capoluogo calabrese. Nel rapporto di quarant’anni fa si mette in guardia dall’usura del tempo e dai mutati volumi di traffico. Nello studio si indica l’esposizione alle intemperie dell’armatura di metallo interna come il segnale più preoccupante. Ed è ciò che sta accadendo al Bisantis

di Enrico De Girolamo
19 agosto 2018
12:04
Il ponte di Catanzaro e, nel riquadro, Riccardo Morandi
Il ponte di Catanzaro e, nel riquadro, Riccardo Morandi

«Le crepe possono essere causa di danni alla conservazione del rinforzo del calcestruzzo e sarà necessario intervenire». Era lo stesso ingegnere Riccardo Morandi, morto nel 1989, progettista del viadotto crollato a Genova e del ponte Bisantis di Catanzaro, a lanciare l’allarme quarant’anni fa. È quanto emerge da un rapporto scritto nel 1979 e intitolato “Il comportamento a lungo termine dei viadotti sottoposti al traffico pesante e situati in un ambiente aggressivo”, ripescato da una rivista specializzata in informazione tecnica e progettuale, Ingenio.

 


La relazione scritta da Morandi illustra in maniera generale gli effetti del tempo sulle sue strutture in calcestruzzo, compreso dunque il ponte di Catanzaro che l’ingegnere romano progettò e costruì tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60.

 

«Alcuni decenni trascorsi a progettare, dirigere e supervisionare le costruzioni di ponti in cemento armato - scriveva l’ingegnere - mi autorizzano ad esprimere opinioni sulla loro durata e sulla frequenza di ripetuti inconvenienti che possono verificarsi nel corso del tempo».
Morandi, dunque, era pienamente consapevole del deterioramento che subivano i suoi ponti «a causa dei carichi mobili e dell'azione ambientale, soprattutto sulla pavimentazione, sulle strutture portanti, sugli intarsi e sulle finiture», avendo particolare attenzione «agli effetti chimici e meccanici dovuti alle azioni metereologiche sul cemento e anche sul rinforzo (le armature di metallo, ndr)». Per questo, l’ingegnere romano raccomandava una manutenzione costante, che tenesse conto dei mutati volumi di traffico e che si basasse su un monitoraggio costante della struttura, tenendo d’occhio in particolare le crepe.

 

Particolare attenzione, quindi, deve essere rivolta ad «alcuni fenomeni speciali - si legge nella sua relazione - come l'aspetto di crepe diffuse in parte a causa dello scarso allungamento del calcestruzzo rispetto a quello dell'acciaio (quando questo è sottoposto a sollecitazioni elevate dell'unità), in parte alle vibrazioni causate dal traffico e in parte a una distribuzione non uniforme dei rinforzi all'interno della massa concreta».

 

E ancora: «Molto spesso tali crepe non raggiungono i rinforzi in acciaio principale, in altre parole rimangono piccole e superficiali».
Non è il caso di Catanzaro, dove il ponte Bisantis mostra vaste porzioni di calcestruzzo sbriciolato, con l’armatura interna di metallo ormai esposta alle intemperie, come ha dimostrato il video realizzato con un drone da alcuni attivisti di Forza Italia.

 

«La determinazione dello stato di cracking di una struttura, cioè la determinazione dell'estensione e della posizione delle fessure - conclude l’ingegnere nella sua relazione di 40 anni fa -, può portare a due conclusioni diverse: se tutte le crepe sono quelle ipotizzate e dovute a condizioni ambientali, in tal caso, almeno a questo riguardo, la struttura è adatta per il servizio anche a lungo termine. Se invece la struttura mostra aperture di crepe che superano il massimo valore accettato nel progetto o riconosciute come accettabili al momento del controllo, in questo secondo caso, di norma, le crepe possono essere causa danni alla conservazione dell’armatura».

 

Considerazioni che possono apparire ovvie, ma che sono state fatte da chi quei ponti li ha progettati e per questo assumono il tenore di un monito che non può essere ignorato, soprattutto dopo l’altissimo prezzo in vite umane pagato a Genova.

 

Enrico De Girolamo

 

 


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