Questa mattina, dinnanzi al Tribunale Collegiale di Cosenza (presidente Carmen Ciarcia, a latere Stefania Antico e Iole Vigna), dopo un’istruttoria dibattimentale durata oltre quattro anni, si è concluso il processo relativo alla realizzazione del Ponte di Calatrava a Cosenza. I tre imputati sono stati tutti assolti.

Sotto processo c’erano il direttore dei lavori, l’ingegnere Vito Avino, difeso dall’avvocato Andrea Onofrio del foro di Cosenza, l’ingegnere De Luna, amministratore delegato della Impresa “Cimolai”, esecutrice dei lavori, difeso dall’avvocato Bruno Malattia del foro di Pordenone e l’ingegnere Carlo Pecoraro, dirigente dell’ufficio Tecnico del Comune di Cosenza, difeso dall’avvocato Antonio Sorrentino. I professionisti erano imputati, nelle rispettive qualità, per diverse ipotesi di falso in atto pubblico e abuso d’ufficio, in relazione al rinvenimento di ingenti quantità di rifiuti, pericolosi e non, nelle fasi iniziali della realizzazione dell’opera.

Alla conclusione del lungo e impegnativo processo, le cui indagini hanno avuto inizio addirittura nel 2012 con il sequestro dell’intera area di via Reggio Calabria e dello stesso cantiere per la realizzazione del ponte, la difesa ha dimostrato la assoluta legittimità degli atti e delle attività del direttore dei lavori. L’avvocato Andrea Onofrio, attraverso documentazione amministrativa, consulenze tecniche e testimonianze qualificate, ha offerto al Tribunale la prova della insussistenza delle ipotesi di reato contestate all’ingegnere Avino e ai professionisti coimputati, estranei alle vicende relative all’annosa questione degli sversamenti illeciti di rifiuti che venivano accumulati nell’area dell’ex villaggio Rom di via Reggio Calabria e nelle aree limitrofe.

Così, nonostante oggi tutti i reati risultassero oramai prescritti, stante la completezza dell’istruttoria compiuta e la evidente non colpevolezza degli imputati, su specifica richiesta della difesa, il tribunale collegiale ha inteso assolvere gli imputati con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste”, anziché dichiarare la prescrizione dei reati, per come viceversa richiesto dal pubblico ministero all’esito della propria requisitoria.