Undici gli anni di reclusione inflitti al penalista in primo grado. Secondo il Tribunale di Catanzaro non deve andare in carcere poiché il giudizio non è ancora definitivo né esistono pericolo di fuga o reiterazione criminosa
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Resta in libertà Giancarlo Pittelli, penalista ed ex parlamentare catanzarese già condannato ad 11 di reclusione nell'ambito del procedimento penale noto come Rinascita Scott per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa e bancarotta fraudolenta. All'esito del giudizio di primo grado la Dda di Catanzaro aveva infatti avanzato richiesta di applicazione della misura cautelare del carcere, istanza respinta invece dalla seconda sezione penale del Tribunale di Catanzaro «perché ritenuta infondata». Giancarlo Pittelli si trova in stato di libertà e difeso da un collegio riformato guidato dal professore Franco Carlo Coppi del foro di Roma e dagli avvocati Guido Contestabile, Sergio Rotundo, Giandomenico Caiazza e Francesco Gambardella.
Secondo la Dda di Catanzaro «proprio la pronuncia di condanna a pena detentiva severa con conseguente ricorrenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza costituirebbe circostanza di per sé tale da rendere necessario il ripristino della massima misura cautelare». Argomentazioni, tuttavia, ritenute infondate dal Tribunale secondo cui «non ricorrono elementi che consentono fondatamente di ritenere ricorrente una consistenza tale da rendere necessario un inasprimento del presidio in atto».
Per i giudici, infatti, «non sono state rilevate trasgressioni o condotte che lascino anche solo lontanamente presagire che sia in procinto di darsi alla fuga e far perdere definitivamente le proprie tracce per sottrarsi all'esecuzione della pena». Inoltre, la condanna non è ancora divenuta definitiva e rilevano ancora «molto tempo ancora dovrà verosimilmente trascorrere perché lo possa diventare con conseguente inattualitá del paventato pericolo di fuga». Annotano i giudici poi che allo stato «non può prevedersi se e quale sarà l'eventuale evoluzione processuale, non potendosi escludere che la sentenza di primo grado subisca delle riforme anche, in ipotesi, migliorative rispetto alla posizione dell'interessato sicché appare davvero prematuro ritenere che stia programmando ed ordendo un volontario allontanamento per sottrarsi all'esecuzione della pena».
Superato per i giudici è poi il pericolo per l'acquisizione e la genuinità della prova poiché gli elementi istruttori sono «già abbondantemente acquisiti», cristallizzati con la definizione del giudizio di primo grado. Il lungo tempo trascorso rispetto agli accadimenti divenuti oggetto di indagine esclude inoltre il pericolo di reiterazione criminosa. Fatti risalenti a cinque anni fa - l'inchiesta è scattata nel dicembre del 2020 - per i giudici «non risulta essere stata segnalata la permanenza di atteggiamenti sintomatici di proclività, rispetto alla specifica tipologia delittuosa, nonché di collegamenti con il contesto ambientale all'interno dei quali sono maturati i fatti». Insomma, non vi sono elementi da cui desumere la permanenza ad oggi da parte di Pittelli di un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo all'associazione di 'ndrangheta.
In riferimento ai due reati di bancarotta fraudolenta, i giudici evidenziano come «le società coinvolte negli illeciti non erano più operative, che il terreno oggetto della condotta distrattiva era stato posto sequestro che nè Pittelli né i suoi familiari svolgevano tuttora attività imprenditoriale e che le condotte delittuose erano state commesse fino al 2018». Dopo tale data, Pittelli non risulta aver commesso reati della stessa specie.