VIDEO | In vista delle politiche del 2018 l'ex parlamentare e avvocato del boss Mancuso commenta al telefono la situazione politica con i due big dell’Udc. Le conversazioni sono finite agli atti di Rinascita Scott, inchiesta per la quale ora si trova in carcere. Col segretario del partito briga anche per un posto nel Csm: «Mi piacerebbe chiudere la carriera così»
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
La politica e la giustizia. Il Csm, il dietro le quinte e le intercettazioni rivelatrici delle prassi che, in un modo o nell’altro, influenzano l’organo di autogoverno della magistratura. Protagonisti pachidermi della politica italiana e un indagato eccellente, Giancarlo Pittelli; avvocato del boss Luigi Mancuso, il mammasantissima più potente della provincia di Vibo Valentia e tra i più temuti in ambito nazionale, trait d’union – lo accusa il pool antimafia di Nicola Gratteri, che ha ottenuto anche il suo arresto – tra la ‘ndrangheta e il mondo della massoneria e delle istituzioni.
Quelle liste… «immonde»
Anno 2018. È il giorno di San Valentino. Ore 14.28 Le politiche incombono. Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia e penalista di grido, figura chiave della maxi-inchiesta “Rinascita Scott”, chiama al telefono Peppino Gargani, europarlamentare, per sei volte deputato della Repubblica. Ex Dc, Ppi, Forza Italia, infine Udc. Insomma, Pittelli, uomo influente, che chiama un altro potente, tra le figure di maggiore spessore dello scudocrociato vecchio e pure di quello nuovo. E il Ros dei carabinieri intercetta. Pittelli, riferisce a Gargani, il suo giudizio sulla qualità delle liste del centrodestra in Calabria: «Le liste del centrodestra sono una cosa immonda». E poi: «Hanno presentato il peggio, Peppino mio, una cosa pazzesca».
«Non posso stare con Galati»
La conversazione con Gargani si divide in due momenti cruciali. Nel primo discute delle trattative per il suo ingresso nell’Udc da protagonista: «Senti – dice all’europarlamentare campano – io ti avrei chiamato perché mi ha chiamato Lorenzo Cesa…». E più avanti: «Lorenzo mi ha detto “Ti devi prendere il partito in Calabria… eccetera…”, però io non è che posso stare con Galati!». E Gargani: «Ah! Eh… figlio mio, che devi fa…».
Galati, Pino, ex parlamentare e Sottosegretario alle Attività produttive, era una figura ingombrante e il suo 2018 fu un anno orribile: candidato al Senato con Noi per l’Italia Udc, non fu eletto; archiviata la sua posizione dalla Dda di Reggio Calabria nell’ambito del maxi-procedimento “Alchemia”, fu coinvolto nell’indagine sulla sua fondazione, Calabresi nel mondo, qualche mese dopo finì ai domiciliari nel contesto di un’altra inchiesta della Dda di Catanzaro, “Quinta bolgia”, ma due anni, nel 2020, dopo sarebbe stato prosciolto. E dire che Pittelli e Galati avevano anche condiviso la sventura giudiziaria delle inchieste istruite dall’allora pm di Catanzaro e attuale sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, dalla quale uscirono entrambi lindi.
Fine carriera al Csm?
Il secondo punto chiave della conversazione tra Pittelli e Gargani riguarda invece l’ambizione del penalista catanzarese: «Senti… rifletti… rifletti su una cosa che a me piacerebbe molto, Peppino… Siccome penso che Lorenzo (Cesa, nda) ce l’abbia uno spazio, non sia… non abbia tanti giuristi da poter collocare… A me piacerebbe chiudere la carriera col Csm…». E Gargani: «Eh… Eh… Figurati, sarei felice di poterti mandare… E facciamolo questo… Tra l’altro glielo diciamo, così cominciamo a…».
«Secondo te, te la dà Berlusconi?»
La chiamata si chiude, pochi minuti e Giancarlo Pittelli chiama Lorenzo Cesa. I due hanno grande confidenza: «Una sola cosa ti volevo dire – esordisce l’ex parlamentare di Forza Italia – che io di te mi fido, perché con me sei sempre stato un galantuomo e io lo stesso con te…». «Vero», la replica del leader Udc. E Pittelli diretto: «Hai preso impegni con qualcuno per il Csm, tu?». Cesa: «No! C’è Marotta che mi sta ricercando ma non me ne fotte nulla, scusami…». E più avanti, sempre Cesa: «No… perché se noi andiamo bene, una roba a noi ce la danno…». Pittelli: «Siccome ne ho parlato con Peppino di questa storia del Csm… Penso di essere titolato». E Cesa: «Si, ma oh! Magari… Eh… Eh… Te lo dico io per primo… magari». Pittelli: Ma te la dà? Secondo te, te la dà Berlusconi?». E Cesa: «Secondo me, se la tratto… su quattro… uno… eh!».
Ecco poi com’è finita
Acquisito l’esito delle elezioni che si sarebbero celebrate il mese dopo, infatti, il Parlamento avrebbe dovuto votare gli otto componenti laici designati a completare il Consiglio superiore della magistratura. Il trionfo dei Cinquestelle e la dirompente affermazione della Lega nel centrodestra, avrebbe poi dato vita all’anomala alleanza gialloverde al governo. Così nel luglio del 2018 le camere in seduta comune votarono i magnifici otto destinati all’organo di autogoverno della magistratura: tre indicati dal Movimento 5 Stelle (Alberto Maria Benedetti, Filippo Donati ed il docente universitario calabrese Fulvio Gigliotti); due dalla Lega (Emanuele Basile e Stefano Cavanna); tre le opposizioni (Michele Cerabona e Alessio Lanzi, per Forza Italia, Davide Ermini per il Pd).
I calcoli di Cesa
Cesa aveva fatto bene i calcoli, ma non del tutto. Quattro sarebbero stati i laici del Csm spettanti al centrodestra, ma Lega e Forza Italia (soprattutto, malgrado il magro risultati delle elezioni), avrebbero cannibalizzato la spartizione. Niente spazio, però, all’Udc, complice un risultato elettorale al di sotto delle aspettative, malgrado anche Pittelli avesse rassicurato Cesa: «Io ti darò una grossa mano… Tu vai bene sicuro!».