«C’è un mondo a cui non abbiamo guardato, un mondo che nel frattempo se ne è andato per i fatti suoi. Siamo a un punto di deriva estremo e per uscirne serve una vera strategia da parte dello Stato. Una strategia che non farà vedere i suoi frutti fra un anno o due, ma solo nel lungo periodo. C’è bisogno di ricostruire un mondo normale per gli abitanti di questo territorio. Ma prima bisogna “leggerlo” il territorio. E capirlo. E se tu Stato il territorio non lo sai leggere, allora il problema diventa molto serio».

Gioacchino Criaco è di Africo. Lo scrittore di Anime Nere, in questi giorni in tournee in Calabria per la presentazione del suo ultimo romanzo “Il custode delle parole”, non è sorpreso dalla mancata partecipazione dei suoi concittadini all’inaugurazione ufficiale della nuova caserma dei carabinieri sorta in un villone sottratto ai Mollica.

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Una manifestazione ufficiale, con tanto di fanfara e palco delle autorità, che pone fine ad una tarantella infinita durata quasi venti anni rispetto ad un bene – il villone del clan – che per tornare nella disponibilità della comunità ha dovuto aspettare l’insediamento dei carabinieri. Una manifestazione che però ha lasciato quasi del tutto indifferenti gli africoti stessi.

Un’assenza che, sostiene Criaco, non è figlia solo di paura e connivenza. «Serve normalità. La comunità di Africo ha certamente le sue responsabilità se si è arrivati a questo punto di deriva, ma quello africoto è anche un popolo con una grande tradizione d’orgoglio. L’inaugurazione della caserma è una cosa molto importante, ma la si poteva rendere come un fatto normale. Africo assiste a queste manifestazioni muscolari dello Stato periodicamente, ma al posto del ministro dell’Interno io avrei fatto venire quello della cultura, o quello della sanità. Bisogna chiedersi, vogliamo ricostruire un rapporto con i territori più marginali? Allora serve una strategia: servono testa e cuore. C’è bisogno di anni di investimenti culturali, e solo allora tutto potrà tornare alla normalità: serve, ad Africo come nella Piana e nei paesini del vibonese, ricostruire un mondo normale. Da queste parti vengono solo in occasioni di parate e nel resto dell’anno il paese resta abbandonato a se stesso. Gli africoti non si fidano, sono settanta anni che ascoltano promesse. Bisogna ricostruire, passo dopo passo, un rapporto di fiducia,altrimenti i cittadini non verranno mai a questo genere di manifestazioni».

Patria di anarchici, feudo del clan Morabito, più volte sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta, Africo Nuovo è un paesino creato a tavolino: spodestato dalla montagna e dalla sua storia a seguito dell’alluvione del 1951 e trascinato a mare. Il suo territorio montano è tra quelli che più sono stati colpiti dai devastanti incendi dell’estate del 2021 e proprio a due passi dall’antico centro di Casalinuovo, i veterinari dell’Asp hanno dovuto abbattere, storia di una settimana fa, 124 capi di maiale nero d’Aspromonte a seguito della diffusione della peste suina africana.

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Un’infezione che rischia di bloccare le attività turistiche della montagna e che rischia di mettere in ginocchio l’intero comparto zootecnico della provincia. «La peste suina rischia di tagliare le gambe all’unica economia che sopravvive sul territorio, che è quella dell’allevamento. Ad Africo sono decine le aziende familiari che si occupano del maiale nero e che ora non sanno cosa fare. Ma a quanto ne so, nessuno ne ha parlato dal palco. Negli anni lo Stato non si è rapportato con il tessuto sociale e culturale di Africo e quando lo ha fatto, lo ha fatto male. Io me lo immagino, dietro  al ministro, il solito codazzo di potentucoli locali. Perché dovrei andare a battere le mani? La caserma dei carabinieri va benissimo, ma ora inauguriamo ospedali, biblioteche, parchi per i bambini».