Ce la mette tutta Aruona per ricostruire la sua vita a distanza di un anno dal tragico incidente che gli ha causato la perdita delle gambe e delle dita delle mani. A Decollatura, nel monastero Piccola famiglia dell’esodo, dove è stato accolto da Padre Benedetto, il ragazzo tenta di avere una vita normale.

«Usa il tablet, chatta con i suoi amici africani, scrive e tenta anche di andare in bici», afferma sorridendo Padre Benedetto, che poi si rattrista un po’ pensando alla voglia di vivere del 19enne. «È difficile per lui stare fermo, ma ne è costretto - dice il sacerdote -. Deve riposare, sdraiarsi sul letto perché le protesi alle gambe non gli consentono di stare molto in piedi e questo solo a causa degli scafisti. Lui si è impaurito mentre era a bordo del barcone verso l’Italia, che si è spaccato in due a causa dell’alta marea. Per farlo tacere gli hanno legato mani e piedi e lo hanno lasciato nella stiva per 24 ore senza viveri. I nodi però erano troppo stretti».

 

 

Le ferite degli scafisti

Il 16 dicembre del 2016 Arouna arriva in Sicilia. «Le sue condizioni fisiche erano già gravi. Il ragazzo camminava sorregendosi sui gomiti e sulle ginocchia. Le dita delle sue mani e gli arti inferiori erano già in cancrena», dichiara Padre Benedetto e continua: «I sanitari che hanno fatto la prima accoglienza non sono intervenuti, certificando un quadro clinico buono. Il ragazzo è stato messo sul pullman e “spedito” in Calabria».
Ricoverato nell’Unità operativa di Malattie infettive dell’ospedale Pugliese-Ciacco di Catanzaro, è stato accolto al centro polifunzionale della polizia di Stato da padre Benedetto, dell’associazione Piccola famiglia dell’esodo, che lo ospita tutt’ora.

La speranza di una vita normale

«I medici hanno fatto di tutto per evitare l’amputazione. Ha subito diversi interventi ma non c’è stato niente da fare», asserisce il frate. Sulla vicenda era stata aperta un’indagine della Procura. Ad oggi non si conoscono ancora i responsabili.

Arouna, già orfano di padre e madre, era scappato a diciotto anni dalle guerre tribali del Burkina Faso per raggiungere l’Italia. Avrebbe voluto realizzare un sogno: riparare le moto, di cui è appassionato, come meccanico.

«Chissà se un giorno riuscirà -  conclude Padre Benedetto -. Siamo in contatto con un centro di Modena per la ricostruzione delle dita del ragazzo. Intanto abbiamo aperto un conto corrente postale per attivare la macchina degli aiuti ».