L’ex primula rossa del clan di Rosarno si nascondeva nelle campagne di Laureana. Negli anni 80 sarebbe stato invece ospitato nel Vibonese dal boss di Zungri. Da detenuto nel 2021 ha svelato un clamoroso piano di morte di Cosa Nostra contro il magistrato Di Matteo
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I verbali del collaboratore di giustizia, Pasquale Megna, depositati di recente dalla Procura distrettuale di Catanzaro nel maxiprocesso d’appello nato dall’operazione Rinascita Scott, continuano a riservare particolari del tutto inediti anche sui contatti che il clan Mancuso avrebbe mantenuto negli anni con consorterie a loro storicamente ostili come i Bellocco di Rosarno.
In particolare, le dichiarazioni di Pasquale Megna chiamano in causa una figura di primissimo piano della consorteria di Rosarno: Gregorio Bellocco, alias “U Lupu solitariu”, ritenuto il numero due del clan dopo il cugino Umberto Bellocco, quest’ultimo fondatore del casato mafioso. Pasquale Megna racconta in particolare del periodo in cui Gregorio Bellocco era inserito nell’elenco dei 30 latitanti più ricercati d’Italia e carabinieri e polizia gli davano la caccia ovunque. “Una sera ci fermarono i carabinieri dei Cacciatori – ricorda il collaboratore – mentre io, mio padre Assunto, Marco Arcuri di Rosarno, genero di Gregorio Bellocco e Antonio Mancuso, figlio di Giuseppe Mancuso, detto ‘Mbrogghja, stavamo andando a trovare Gregorio Bellocco. Gregorio doveva parlare con Antonio Mancuso, ma non so dire di cosa, perché a seguito del controllo dei Cacciatori non siamo più andati dal latitante”.
Il collaboratore Pasquale Megna ha riferito agli inquirenti di non sapere indicare il periodo riferibile a tale episodio, ma di ricordare di essere stato fermato in tale occasione dai carabinieri “a bordo di una Lancia Ypsilon che qualcuno aveva prestato a Marco Arcuri per fargli cambiare macchina: nel cofano dell’auto i Cacciatori trovarono un borsone con indumenti che Arcuri doveva portare al suocero. Al momento del controllo – ha aggiunto Megna – eravamo nella strada che da Rosarno porta a Laureana di Borrello. Arcuri al ritorno ci disse che al suocero gli era andata bene, perché ci avevano fermato neanche venti metri prima del cancello dove dovevamo entrare con la macchina e dove era nascosto Gregorio Bellocco, all'epoca latitante perché ergastolano per omicidio. Non so dire se venne fatto un verbale dai Cacciatori, ricordo che hanno preso degli appunti forse su un block notes. Non so se qualcuno – ha riferito ancora il collaboratore – abbia firmato un verbale di perquisizione o di altro. Mio padre mi teneva lontano solo dagli omicidi, ma non da queste cose. Infatti, il favoreggiamento della latitanza di Marcello Pesce l'ho curato io. Con Gregorio Bellocco invece non avevamo curato il favoreggiamento della latitanza, perché non seguivamo noi la sua latitanza. In occasione del controllo ci stavamo recando da lui perché sapevamo che Antonio Mancuso doveva parlargli, ma non sapevamo del borsone con gli indumenti che il genero Arcuri gli stava portando. Non ricordo e non so dire quando è stato poi arrestati Gregorio Bellocco. Preciso che conoscevo Giuseppe Bellocco, figlio di Gregorio, fin da piccolo. Così come conoscevo i Pesce – ha concluso Megna – perché in estate questi affittavano la casa al mare a Nicotera e con loro mi ero cresciuto”.
Il peso del capobastone di Rosarno
Gregorio Bellocco, 70 anni, è stato arrestato dai carabinieri del Ros il 16 febbraio 2005 in un bunker nelle campagne di Rosarno dopo undici anni di latitanza, essendo sfuggito nel 1994 all’operazione “Isola Felice” della Dda di Milano. E’ stato condannato all’ergastolo quale mandante dell’omicidio del pugliese Franco Girardi, ucciso il 9 luglio 1982 a Varese in quanto non avrebbe protetto la latitanza di Antonino Bellocco, fratello di Gregorio, causandone l’arresto nel giugno 1980. Nel dicembre del 2003, Gregorio Bellocco, grazie ad una “soffiata”, era sfuggito all’arresto dei carabinieri nei pressi di Anoia ed alla sua cattura è dedicata anche una delle canzoni “clandestine” inneggianti alla ‘ndrangheta.
I Bellocco e la provincia di Vibo
I Bellocco – Gregorio ed il cugino Giuseppe – in alcuni periodi della loro latitanza sarebbero stati ospitati anche nel Vibonese. Sono gli atti della maxioperazione Maestrale-Carthago a dare contezza di tali avvenimenti. E’ in particolare il 22 febbraio 2018 quando il boss di Zungri, Peppone Accorinti, si trova in una masseria nelle campagne di Monte Poro intento a colloquiare (intercettato dagli investigatori) con tale “compare Turi di Rosarno”, alla presenza di Michele Galati di Mileto, quest’ultimo figlio dell’ergastolano Salvatore Galati. Giuseppe Accorinti e “compare Turi” colloquiavano su alcuni periodi di latitanza vissuti da grandi esponenti della ‘ndrangheta a cui gli stessi conversanti avevano dato supporto. Veniva così menzionato Giuseppe Bellocco, arrestato nel 2007 dopo dieci anni di latitanza in un bunker nelle campagne di San Giovanni di Mileto. Proprio il predetto “compare Turi” avrebbe dato supporto al latitante e dall’inchiesta Maestrale è emerso che Giuseppe Bellocco dell’omonimo clan di Rosarno (pure lui condannato all’ergastolo) sarebbe stato favorito dagli indagati Pietro Corso (cl ’68) e Vincenzo Corso, detto Enzo (cl ’73), entrambi di Mileto. Dalle intercettazioni è inoltre emerso che negli anni ’80 Giuseppe Accorinti avrebbe invece aiutato il boss Gregorio Bellocco di Rosarno (cugino di Giuseppe) a nascondersi a Papaglionti, frazione del comune di Zungri.
E’ lo stesso Giuseppe Accorinti a svelare l’episodio nelle intercettazioni: “Io me lo ricordo, all’epoca era l’ottantacinque….,l’ottantasei….laggiù a Papaglionti, sotto da me c’era Gregorio Bellocco ed eravamo entrambi latitanti, eravamo là, solo che praticamente cosa facevamo: scendevano, ci lasciavano nella fiumara, scendevano lì e finiva là. Invece poi là – ricordava Peppone Accorinti – mi hanno preso due volte”.
Bellocco e il piano di morte contro Di Matteo
Porta invece la data del 1 giugno 2021 il clamoroso colloquio di Gregorio Bellocco con un altro detenuto pugliese, Francesco Cammarata, nel carcere milanese di Opera durante l’ora di socialità. Gregorio Bellocco avrebbe infatti detto: “Anche il giudice Di Matteo lo ammazzano. Gli hanno già dato la sentenza”. La conversazione viene sentita da un agente del Gom che prontamente ha stilato una relazione di servizio inviata al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. I due boss stavano commentando la scarcerazione di Giovanni Brusca, il killer di San Giuseppe Jato che ha premuto il telecomando della strage di Capaci - in cui sono morti il magistrato Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta – all’epoca tornato in libertà dopo aver deciso di collaborare con la giustizia. Sulle frasi di Gregorio Bellocco vige ad oggi il più assoluto riserbo da parte degli investigatori e sulle stesse indagano le Procure di Reggio Calabria e Palermo. Nino Di Matteo vive sotto scorta dal 1993 per le minacce di morte nei suoi confronti ad opera di Cosa Nostra.