VIDEO | Don Gianni Rigoli aveva chiesto di evitare strette di mano per le condoglianze al termine di una messa di suffragio. «Quanto accaduto è vergognoso, è un uomo buono e sempre disponibile»
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«Hanno sbagliato tutti e due», afferma con discutibile equidistanza un cittadino di Varapodio, nel Reggino, commentando l’aggressione subita dal parroco Gianni Rigoli nella chiesa della di Santo Stefano, che oggi è deserta. Non ci sarà nessuna funzione. Il messale è fermo a martedì, giorno in cui, al termine di una messa in suffragio di una donna deceduta sette giorni prima, alcuni fedeli hanno aggredito il prete assestandogli una testata in pieno volto. Un’azione brutale “giustificata”, per così dire, da un motivo altrettanto incredibile: aver vietato la stretta di mano per le condoglianze, in ottemperanza alle disposizioni del vescovo. Una regola adottata per fronteggiare i contagi da influenza e covid che nelle ultime settimane hanno raggiunto il picco.
«È una vergogna quello che è successo», spiega una fedele che conosce bene il sacerdote: «Un uomo buono e disponibile». Un altro parrocchiano non disposto a giustificare quanto accaduto, incalza: «Non dovrebbero verificarsi episodi del genere, non mi interessa chi sia stato, ma un uomo di Chiesa non dovrebbe mai essere aggredito». Tra i primi a manifestare vicinanza e solidarietà al prete aggredito è stato, don Cecè Feliciano, della parrocchia di San Giuseppe a Taurianova. Lì dove il prete è nato e cresciuto e si è formato. «L’ho sentito martedì sera, subito dopo l’accaduto - racconta -. Era distrutto, non solo per le botte, ma anche a livello psicologico. È stato un gesto disumano», conclude esprimendo «ferma condanna per questi atti di prepotenza».
Un’aggressione fisica e verbale che ha costretto don Gianni a ricorrere alle cure mediche. Dimesso dall’ospedale di Gioia Tauro è rientrato nella sua casa di Taurianova. «Ma è troppo scosso per parlare», spiega la madre, che ci invita ad allontanarci. «D’altronde - conclude prima di salutarci - non ci sono parole…». Intanto, davanti all’abitazione del sacerdote, continua un via vai di amici, come don Leonardo Manuli della vicina parrocchia di San Procopio: «Dico sempre ai miei fedeli che noi preti siamo un presidio per l’elevazione morale, religiosa e spirituale delle persone. E quando veniamo aggrediti ci sentiamo scoraggiati, soli. Ecco perché vi chiediamo di starci vicino».