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C’è una storia vecchia come il mondo, che ancora oggi continua a stillare lacrime e dolore nella vita di migliaia di persone: l’uso dei figli come arma contro il coniuge in caso di separazione e conseguenziale affidamento dei minori a uno dei due genitori.
È un terreno delicato e infido quello dell’alienazione genitoriale, sindrome psicologica (Parental alienation syndrome) teorizzata nel 1985 da uno psichiatra forense degli Stati Uniti. Ma al di là delle considerazioni scientifiche, sono tantissimi i casi di figli che hanno subito, nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, pressioni destinate a mettere in cattiva luce l’altro genitore, che soprattutto in passato coincideva con la figura paterna. Oggi i piatti di questa bilancia che pesa odio puro sono più vicini e non sono affatto rari i casi in cui a subire il discredito finalizzato all’allontanamento affettivo siano le madri. In mezzo, ci sono loro, i figli, usati come una pistola carica puntata dritta al cuore del detestato partner.
Odiavo mio padre
«Ho odiato mio padre per tanti anni, convinta che ci avesse abbandonati, che non ci volesse bene, perché così mi diceva mia madre. Non l’ho voluto vedere, né sentire. Finché, crescendo, mi sono accorta che qualcosa non quadrava nel racconto della mamma». Floriana oggi ha 42 anni e due figli. I genitori si separarono quando ne aveva 13 e fino a 21 ha considerato il padre come un nemico dal quale tenersi alla larga. A imporre questa visione era la madre, una donna autoritaria, che spesso sottolineava la linea da seguire con sonori ceffoni.
Una mamma aggressiva
«Era aggressiva e violenta, ma le credevo. Credevo davvero che mio padre fosse una cattiva persona». Poi, lentamente, comincia a insinuarsi in lei il dubbio che quella convinzione non sia la sua, finché, tassello dopo tassello, si accorge con orrore di aver subito per anni un vero e proprio lavaggio del cervello e decide di andarsene di casa. Un passo difficile per una ragazza giovane. C’è solo una persona che può aiutarla, perché anche i nonni paterni sono stati messi al bando dalla madre e non li vede da tempo. Quella persona è suo padre. «Lo chiamai e lui fu subito disponibile a incontrami. Quando vidi le sue lacrime mentre mi abbracciava dopo tanti anni, ogni residuo di dubbio fu spazzato via: mi amava e non aveva mai smesso di farlo».
Le false accuse di abusi: l'arma più devastante
La storia di Floriana, che oggi è impegnata ad aiutare e ascoltare chi vive la stessa perversa dinamica familiare, non è niente rispetto a chi è stato spinto nell’inferno delle false accuse di abusi sessuali. Perché è questa la madre di tutte le bugie, l’arma di distruzione di massa che alcune persone sono disposte a lanciare sulle esistenze dei propri figli e del proprio ex pur di annientarlo.
«Anche quando le perizie mediche e psicologiche ordinate dal Tribunale accertano in maniera inequivocabile l’infondatezza delle accuse - spiega Floriana -, chi ha denunciato il falso non subisce nulla, anzi nella maggior parte dei casi i figli restano affidati a questa persona». Devastante. Un incubo che per alcuni è diventato realtà e che danneggia anche la ricerca della verità in un contesto che è già delicatissimo.
Il caso del papà accusato ingiustamente
Nel 2017 la cronaca giudiziaria italiana ha offerto all’attenzione dell’opinione pubblica un caso emblematico. Quello di Saverio De Sario, un autotrasportatore sardo che ha subito 15 anni di processi e si è fatto 4 anni di carcere con l’abominevole accusa di abusi sessuali sui figli, prima che questi, ormai adulti, rivelassero la verità: «Non ci ha mai toccati, è stata la mamma a costringerci a mentire».
Anche le madri subiscono pressioni e calunnie
Ma oggi la medaglia della vergogna non ha una sola faccia. «In passato - continua Floriana - erano soprattutto le madri a esercitare pressioni psicologiche sui figli perché odiassero il padre, ricorrendo in casi limite anche a false accuse. Oggi ci sono molte donne che subiscono la stessa sorte e che talvolta vengono denunciate in maniera pretestuosa di aver picchiato i figli».
E sono proprio loro, bambini e ragazzi, l’anello più debole di questa catena che viene strattonata da una parte e dall’altra, come in un tiro alla fune che, alla fine, rischia di spezzarsi lacerando per sempre le vite di chi vi è aggrappato.
Enrico De Girolamo