VIDEO | La ricorrenza annuale dedicata ai defunti, quest’anno è stata celebrata nel ricordo della bimba migrante, morta nel tragico naufragio del febbraio scorso e sepolta nel cimitero della città del Santo con il nome Francesca Paola
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Sacerdote della Parrocchia della SS. Annunziata e cappellano del camposanto cittadino, don Pietro De Luca è tra i parroci più noti alla comunità di Paola. Giornalista e docente alle scuole superiori, da uomo di chiesa ha sempre dimostrato vicinanza alle istanze che, in maniera trasversale, permeano le varie generazioni lungo il cammino della vita.
In un’attualità caratterizzata dalla precarietà di relazioni e rapporti, in cui l’emotività spesso è ridotta alle reazioni lasciate qua e la sui social network, la celebrazione del 2 novembre rappresenta un’occasione per riflettere sulla condizione umana, sulla temporaneità dei giorni concessi a ciascuno e sulle storie che si celano dietro ogni targa commemorativa.
«Nella celebre poesia di Totò (‘A livella, ndr), si fa riferimento al fatto che venire a far visita al cimitero sia un dovere - ha commentato il parroco - noi accogliamo la parola “dovere” come una cosa da doversi fare, che è un beneficio, io direi, più per noi che per le anime sante che nel cimitero riposano».
«Direi che il 2 novembre è un giorno di forte realismo - ha proseguito don Pietro - e anche un giorno di verità. Il nostro mondo, forse da sempre, ma ultimamente pare che si stia impegnando tanto, tende a mettere ai margini la morte, come se la morte, non dovesse venire mai o se viene, viene per gli altri, ma non viene per me. Quindi il 2 novembre è una giornata in cui, con umiltà, ci fermiamo, diciamo: “beh, allora che cosa ne è della mia vita?”. La visita al cimitero ci aiuta anche a vedere che cosa ne è stato della vita degli altri. Io direi che il primo sentimento da elevare è un sentimento di gratitudine. Se abitiamo il mondo che abitiamo, se abbiamo la ricchezza che abbiamo, gli strumenti, i mezzi, non lo so, se abbiamo un sistema sanitario, se abbiamo la democrazia, se abbiamo la scuola dell'obbligo, se abbiamo case attrezzate, se… se calcoliamo tutti questi “se”, che sono poi dati reali, di fatto, allora, il primo pensiero di gratitudine va a coloro che ci hanno preceduto, che hanno spinto il mondo fin qua».
«Gratitudine ma anche riconciliazione - si è avviato a concludere il sacerdote - perché la morte ci porta a questo, a riconciliarci anche con le nostre relazioni, rapporti che magari non sono stati tutti belli, chiari, limpidi, onesti. Un momento di verità anche sulla propria vita. Cimitero significa luogo dove si dorme, camposanto è un termine caro ai cristiani, nel senso che la vita è santa, la vita è vera, la vita è un dono. Relazionarci all’idea della morte ci aiuta, non per umiliarci, non ma proprio per dare verità, per dare realismo alla nostra esistenza. Io spero che in tanti, oggi come ieri e nei prossimi giorni, passino dal camposanto, a vivere questo momento di ricchezza, di profondità».
A Paola, a partire da quest’anno, i visitatori del camposanto stanno avendo modo di confrontarsi anche con le drammatiche conseguenze delle migrazioni disperate, rappresentate dal piccolo fazzoletto di terra non consacrata, sotto al quale riposa eternamente una bimba ribattezzata Francesca Paola, vittima del tragico naufragio avvenuto a Steccato di Cutro nel febbraio scorso.
«I nostri padri ci hanno detto che quando veniamo al camposanto - ha detto infine don Pietro De Luca - intanto dobbiamo salutare tutti. Dobbiamo, per chi crede, dire una preghiera per coloro che forse non vengono portati, sufficientemente, nel cuore di tanti. Scordare sarebbe troppo grave. Oggi è un giorno in cui la memoria deve essere proprio bella, viva. Che poi la memoria ci aiuta a proiettare luce sul presente. A me pare che camposanto sia anche il nostro mare, in cui sono sepolti tanti nostri fratelli, che nella traversata naufragano per nostra incuria. Lo scenario di questo mondo che è fatto di violenza e morte non aiuta nessuno. Se pensassimo un po’ più a ciò che è stato, avremmo più luce per vedere quello che stiamo facendo, che non è carino, e quello che dovremmo evitare di fare, soprattutto.