I contenuti della requisitoria in appello sul delitto del penalista lametino: «La cosca Scalise considerava il legale un nemico». Il presunto killer Marco Gallo vestito da podista riconosciuto dalla suocera in tv e la testimonianza dell’amante che ne fa crollare l’alibi: «Non ci siamo mai incontrati di sera»
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«Tutti gli elementi di prova dimostrano la sussistenza dell’aggravante mafiosa». È perentorio il sostituto procuratore generale Lugi Maffia nel corso della requisitoria sull’omicidio dell’avvocato Francesco Pagliuso, il penalista ucciso all’età di 43 anni, il 9 agosto 2016, nel giardino della propria casa. Pagliuso era appena rientrato da una serata fuori, aveva aperto il cancello della villetta in cui viveva in via Marconi, a Lamezia Terme, quando un uomo si è introdotto da un varco nella recinzione e ha fatto fuoco prima che l’avvocato potesse fare alcunché. Dopo averlo freddato, il killer è andato via dallo stesso varco. Dopo serrate indagini dei carabinieri e della Dda di Catanzaro l’assassino è stato identificato in Marco Gallo, oggi 38 anni, titolare di una società di consulenza, sposato, residente a Falerna e per lungo tempo assolutamente sconosciuto alle cronache.
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«Distruggere viso e cervello»: punire l’avvocato prima ancora che la persona
Di Gallo il pg Maffia – che ha chiesto l’ergastolo dell’imputato con l’applicazione dell’aggravante mafiosa – ha sottolineato la «sistematicità» con la quale ha compiuto così tanti omicidi in poco tempo. E quello dell’avvocato Pagliuso ha una matrice, dice l’accusa, prettamente mafiosa. «Tutti gli elementi di prova dimostrano la sussistenza dell’aggravante», sostiene Maffia che è stato il primo, nel 2016, a coordinare le indagini sul delitto Pagliuso in veste di procuratore facente funzioni di Lamezia Terme. Poi, viste le dinamiche del delitto, le risultanze delle investigazioni sono state inviate alla Dda di Catanzaro.
«Persino la scelta di colpire il volto e la testa – spiega il magistrato – non è estranea a una precisa volontà mafiosa. Denota la volontà non solo di infliggere una condanna a morte ma di distruggere viso e cervello. L’esecutore aveva l’ordine preciso di punire l’avvocato prima ancora che la persona Francesco Pagliuso».
In primo grado Marco Gallo è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise di Catanzaro, la quale ha però escluso l’aggravante mafiosa. Una decisione che il pg Maffia non esita a definire «l’unico errore dei giudici di primo grado». «Mi sono chiesto più volte perché è stata esclusa la matrice mafiosa del delitto e non me lo so spiegare», ha commentato il magistrato.
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«L’attività di avvocato ne decreta la condanna a morte»
L’accusa abbraccia, senza indugio alcuno, quelle che sono sempre state le tesi della Dda di Catanzaro: è stata la cosca Scalise, operativa nel comprensorio montano del lametino, ad armare la mano di Marco Gallo. Pagliuso, raccontano le cronache, dopo aver difeso per diverso tempo gli Scalise (in seguito a gravi episodi aveva deciso di non difenderli più), era diventato per loro «un nemico» nel momento stesso in cui aveva preso la difesa del gruppo Mezzatesta, rivale degli Scalise. Tra la cosca Scalise e i Mezzatesta erano poi avvenuti feroci fatti di sangue che avevano visto soccombere due elementi degli Scalise per mano dei Mezzatesta. L’avvocato Pagliuso era riuscito a far ottenere uno sconto di pena ai suoi nuovi clienti dimostrando l'insussistenza dell’aggravante della premeditazione. Un successo professionale che aveva esacerbato gli animi della cosca della montagna. «L’esercizio dell’attività di avvocato ne ha decretato la condanna a morte», ha detto il pg che non ha dubbi: «L’omicidio ha avuto origine in un contesto mafioso ed è stato eseguito con modalità mafiosa».
Il podista riconosciuto dalla suocera
Nei giorni precedenti all’omicidio, Marco Gallo si sarebbe aggirato intorno alla casa di Pagliuso. Così come la sera stessa dell’omicidio. Le telecamere di via Marconi inquadrano un podista che ha le sue fattezze. L’accusa ricorda come anche la suocera di Gallo, guardando le immagini del corridore diffuse in tv, abbia commentato con la madre, ignara di essere intercettata, che quello era senza dubbio il genero.
Inoltre, dice Maffia, «è lo stesso podista che mette in moto la Bmw di Marco Gallo» e, identica, è stata trovata la maglietta sportiva nella casa dell’imputato.
E poi, perché uno che abita a Falerna, con un lungomare a disposizione – si chiede il pg – rientrando dal lavoro dovrebbe prendere la macchina e andare a fare una corsa in una trafficata via di Lamezia Terme?
Un uomo che subito dopo l’omicidio scompare immediatamente. «Undici minuti dopo l’esecuzione dell’omicidio – racconta l’accusa – l’auto di Gallo si accende e corre, va via in direzione dell’abitazione di Falerna».
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La relazione extraconiugale e l’intercettazione con i genitori
«L’imputato – prosegue Maffia – non è stato in grado di introdurre ipotesi alternative, rispetto a quelle accusatorie, sui propri movimenti». Tra le varie giustificazioni Gallo avrebbe citato una relazione extraconiugale con una donna di Lamezia. La donna, sentita in primo grado come teste, ha ammesso la relazione con Gallo, avuta fra luglio e settembre 2016, ma ha dichiarato con certezza che, in nessuna occasione, ha incontrato Gallo nelle ore serali. Nè in via Marconi, né in nessun altro luogo».
Non ultima l’intercettazione in carcere a colloquio con i genitori: Marco Gallo – giustificando altre ragioni – ammette di essersi trovato sul luogo del delitto.