L’ex azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro non ha subito alcun danno di immagine a causa della condotta assenteista del proprio dipendente Salvatore Scumace. Cade così la richiesta di risarcimento del valore di un milione di euro in favore dell’ex azienda ospedaliera catanzarese avanzata dalla Procura della Corte dei Conti nell’ambito del giudizio di responsabilità contabile avviato nei confronti del dipendente assente dal lavoro per ben quindici anni ma regolarmente stipendiato e nei confronti di altri otto tra ex e attuali funzionari e dirigenti amministrativi dell’ospedale accusati di concorso omissivo nella condotta illecita poiché tutti avrebbero intenzionalmente scelto di tacere.

Nessun danno di immagine

Così si è pronunciata la sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti emettendo una ordinanza parziale che dichiara inammissibile la richiesta risarcitoria per danno di immagine e con cui la Corte si riserva la pronuncia sul danno patrimoniale chiedendo all’ospedale di depositare il regolamento aziendale con cui si disciplina il «riparto di competenze interno in materia di accertamento delle presenze del personale in funzione del pagamento della retribuzione mensile».

Danno patrimoniale

Resta, quindi, ancora in ballo una richiesta risarcitoria di 500mila euro, pari al valore degli stipendi che Salvatore Scumace avrebbe illegittimamente percepito dall’agosto 2005 fino a maggio 2020 senza mai recarsi al lavoro. Secondo la Procura della Corte dei Conti grazie al «placet concorrente dei dirigenti e dei funzionari con incarichi di responsabilità i quali, nonostante l’evidenza, non hanno posto in essere alcuna azione atta a correggere la condotta illecita dello Scumace, ovvero a farne cessare gli effetti pur avendone l’obbligo giuridico».

Accertare le responsabilità

Tuttavia, i giudici contabili vogliono vederci chiaro e si sono riservati un surplus di accertamenti al fine di comprendere il «riparto di competenze e responsabilità in merito alla procedura di pagamento della retribuzione mensile, ed ai suoi rapporti (e modalità) con o meno, dalla rilevazione (e con quali modalità) della presenza in ufficio del dipendente assente ingiustificato».

15 anni senza andare al lavoro

Per la Corte, resta «centrale accertare, in generale, i motivi per i quali gli uffici dell’azienda ospedaliera – negli anni compresi tra il luglio 2005 ed il settembre 2020 – abbiano continuato a pagare lo stipendio ad un proprio dipendente pur in assenza di attestazioni di presenza, nonché, in particolare, a chi incombessero i doveri funzionali tesi ad evitare tale evento dannoso».

Nessun mezzo fraudolento

Al contrario di quel che riguarda il danno di immagine, la cui richiesta è stata dichiarata inammissibile: «Non avendo lo Scumace Salvatore attestato falsamente la sua presenza in servizio, né in proprio né a mezzo terzi, né ricorrendo a modalità fraudolente. Egli, nella perpetrazione dell’illecito, è stato trasparente: non ha fatto credere che era in servizio; più basicamente non si è mai recato in ufficio». 

Il procedimento disciplinare

La Procura aveva, infatti, contestato l’ipotesi di reato di falsa attestazione della presenza in ufficio del dipendente pubblico, «reputando sufficiente, per la risarcibilità del danno all’immagine, la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del dipendente infedele».

Udienza aggiornata

L’udienza è stata così aggiornata per discutere del solo risarcimento del danno patrimoniale «diversamente ripartito tra i dirigenti in ragione del diverso apporto causale», così come richiesto dalla Procura della Corte dei Conti. Nello specifico, del danno patrimoniale di mezzo milione di euro dovranno rispondere in solido con Salvatore Scumace anche:
- Maria Catena Rita Cuffari, 34.989 euro 
- Nino Critelli, 107.665 euro 
- Salvatore Calabretta: 76.202 euro 
- Vittorio Prejanò, 62.347 euro 
- Massimo Esposito, 19.358 euro 
- Maria Pia De Vito, 18.494 euro 
- Giuseppe Scalzo, 88.925 euro 
- Francesco Citriniti, 123.269 euro