In Italia, ogni giorno, nove persone muoiono per mancanza di reni artificiali; ogni settimana pazienti in dialisi percorrono centinaia di chilometri per raggiungere il proprio centro; in Calabria e a Crotone nello specifico l’utenza del San Giovanni di Dio, che conta 140 dializzati, di cui 20 in dialisi peritoneale e 224 trapiantati dal 1994 ad oggi, affronta molti più dettagliati disagi di una drammatica realtà che ha spinto un gruppo di emodializzati ad unirsi per dare vita ad Aned (l’associazione nazionale emodializzati e trapiantati). È noto infatti come la medicina riesca a tenere in vita malati terminali, con una diffusa inconsapevolezza di quanto le attuali strutture sociali non prendano in considerazione i loro problemi e comunque non vengano affrontati in modo giusto, soprattutto senza la loro attiva partecipazione.

In occasione dell’ultima seduta della Conferenza dei Sindaci di Crotone, alcuni di questi ammalati crotonesi hanno accompagnato il delegato regionale Aned Roberto Costanzo nella richiesta, soddisfatta dal sindaco Voce, di poter intervenire e raccontare al Direttore generale e commissario dell’Asp Sperlì, gli enormi disagi e promiscuità che questi malati terminali affrontano quotidianamente proprio al San Giovanni di Dio che già vede i propri dipendenti in stato di agitazione e che ha pure visto il Presidente della Regione e Commissario alla sanità Occhiuto fare tappa a Crotone e visita l’ospedale dopo le denunce dei sindacati, facendogli pure ammettere che «la città merita maggiori attenzioni».

Ma all’ospedale di Crotone ci sono davvero alcuni aspetti di drammatica realtà che ha spinto il gruppo di emodializzati ad unirsi, sin da maggio: «Chi risponde di probabili contagi per contiguità di reparti con pazienti fragili che arrecano ulteriori e letali rischi?». E poi: «Il direttore sanitario è conscio di tali rischi e cosa ha fatto finora, visto che per accedere ai reparti gli ascensori sono utilizzati per trasporto pazienti, trasporto materiali di ogni tipo compreso rifiuti speciali?» erano già alcuni degli interrogativi che Pasquale Scarmozzino, vicepresidente nazionale dl’Associazione nazionale emodializzati dialisi e trapianto, rivolgeva ai vertici dell’Asp di Crotone anche all’indomani dell’incontro, infruttuoso, tenutosi in Prefettura a Crotone e per capire quali margini ci fossero per migliorare il reparto di Nefrologia e dialisi dell’ospedale San Giovanni di Dio di Crotone, soprattutto per auspicarne il ritorno dell’Unità operativa di Dialisi al piano terra del presidio ospedaliero.

Oggi le richieste di Roberto Costanzo sono le medesime e più circostanziate da altri aspetti, sempre logistici che come riferisce al nostro network, racconta essere decisivi per almeno il 50% del loro “sopravvivere”: «la parte logistica per un ammalato rappresenta il 50% della malattia stessa, risolvendo il problema del trasferimento della dialisi a piano terra, il 50% dei nostri problemi sarebbero risolti; non esiste in nessuna parte del mondo che la dialisi sia al 7° piano».

Ci dice di più Costanzo «in Regione ci dicono che ci sono le condizioni perché questo avvenga, qua oggi, alla Conferenza dei Sindaci il Direttore Generale Sperlì ci ha confermato che, invece, deve inquadrarsi in una ristrutturazione generale» così come abbiamo ascoltato anche noi nel fitto confronto di botta e risposte andato in scena di fronte ai sindaci che parevano ascoltare queste rimostranze per la prima volta.

«Ma se noi ammalati dovessimo attendere ristrutturazioni generali, non ci resta che rassegnarci al prossimo Commissario e comunque in tempistiche che non sono conciliabili con il nostro status di malati terminali» ha proseguito Costanzo accanto ai propri compagni di sventura visibilmente “toccati”.

«Noi siamo già stressati, domani mattina dobbiamo fare dialisi e sono già stressato dal pensiero che non so se ci saranno i farmaci, non so se funzionerà la bilancia del letto, non so se funzionerà l’aria condizionata, non so nemmeno se c’è il medico, non so se funziona l’ascensore che è in uno stato pietoso e se ci rimango dentro, perché è accaduto anche questo, non so se salgo e scendo con rifiuti speciali piuttosto che cadaveri per i montacarichi sono sulla stessa linea di passaggio degli ammalati, non so se collasso perché si muore di freddo o di caldo» il tutto inframezzato dal mostrarci foto e denunce che poi siamo andati anche a verificare con le telecamere.

«Noi vogliamo solo curarci vedendoci riconosciuto lo status di malati terminali» è stato l’appello consegnatoci al termine dell’intervista che non neghiamo ci abbia consegnato una frustrazione enorme e la convinzione che i centri dinamici di assistenza ospedaliera richiesti da questi ammalati, certamente e drammaticamente più consapevoli di tanti altri, hanno necessità di quei centri ad assistenza limitata dove i pazienti si autogestiscono con il solo controllo infermieristico, piuttosto che di tanti medici che vengono pagati per svolgere compiti “scritti” da protocolli amministrativi redatti da quelle immaginifiche “ristrutturazioni” aziendali che, guarda caso, necessitano sempre e solo di commissari e sub commissari, unici ad usufruire di turnazioni senza alcuna soluzione di continuità.