Aravano il terreno, piantavano la marijuana, la annaffiavano e infine la raccoglievano. Azioni tutte immortalate dalle immagini che i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, insieme ai militari della compagnia di Bianco,  hanno acquisito direttamente dalle fototrappole installate dagli stessi membri di questa presunta organizzazione criminale, attiva nella Locride, tra Casignana, San luca, Siderno e Bovalino. Da qui il nome dell’operazione “Selfie” messa a segno dalla Dda dello Stretto. In carcere, su ordine del gip, sono finite 13 persone e tra queste Michele Carabetta, classe 1978, già condannato ad 8 anni di reclusione, per associazione mafiosa, in quanto ritenuto appartenente alla cosca sanluchese dei Pelle-Vottari con il particolare compito di aver introdotto, nel territorio italiano, armi da guerra, armi clandestine e munizioni. Per altre 14 persone sono stati disposti gli arresti domiciliari mentre per una l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

 

Le accuse mosse dagli inquirenti sono, a vario titolo, quelle di associazione finalizzata alla produzione e al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio, ricettazione, detenzione e porto illegale di arma da sparo. La droga, secondo l’inchiesta, sarebbe stata spacciata tra Roma e Latina. «Dal campo coltivato- ha affermato Giuseppe Battaglia, comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, siamo riusciti a ricostruire la filiera di produzione e smercio dello stupefacente fino nel Lazio. Il rinvenimento delle piazzole, adibite alla coltivazione della droga, si incastra nel costante e continuo controllo del territorio operato dai militari appartenenti alle varie stazioni e dei “Cacciatori” di Calabria. Anche se in alcuni casi gli indagati hanno cancellato i file delle immagini siamo riusciti comunque a recuperarli. Dai soggetti indentificati- ha concluso Battaglia-abbiamo ricostruito ruoli e attività “dal produttore al consumatore”».

Sotto sequestro, su ordine del gip, anche le otto piazzole dove gli indagati avrebbero coltivato in due anni  11 mila piante con un profitto stimato in diversi milioni di euro. «Questa indagine dimostra che la Locride- ha dichiarato il procuratore reggino Giovanni Bombardieri- non solo è terra solo di importazione dalla droga, ma anche di produzione ed esportazione. Questi siti erano attrezzati per la coltivazione e sono stati addirittura spianati, venivano tolte le pietre, c’erano moderni sistemi di irrigazione. Per alcune di queste piazzole abbiamo la prova- ha chiosato Bombardieri- che già in passato erano stati impiegati per la coltivazione della marijuana, oltre a quelle acquisite direttamente dalle fototrappole». 

 

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