VIDEO | Si tratta di un’inchiesta condotta dai carabinieri e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria contro le cosche di Cinquefrondi e Anoia
Tutti gli articoli di Cronaca
Nel corso della notte, i carabinieri della compagnia di Taurianova hanno dato esecuzione all’ordine per la carcerazione disposto dalla procura generale della Repubblica di Reggio Calabria nei confronti di 5 imputati dell’operazione Saggio Compagno.
L’indagine, fra il dicembre del 2014 ed il gennaio del 2015, aveva portato a due retate finalizzate alla disarticolazione della “locale” di Cinquefrondi, cosca operante in tutta la piana di Gioia Tauro ed attiva nel traffico di sostanze stupefacenti e nel contrabbando di armi da sparo.
I carabinieri, coordinati dalla Dda di Reggio Calabria, avevano infatti dato esecuzione a tre provvedimenti restrittivi ordinati dall’autorità giudiziaria nei confronti rispettivamente di 36, 29 e 19 persone, ad esito di un’attività investigativa che ha permesso di documentare come i vertici delle famiglie “Forigilio” “Petullà” e “Ladini” erano nel tempo riuscite, grazie alla forza di intimidazione che scaturiva dal vincolo associativo e dalle conseguenti condizioni di assoggettamento e omertà che ne derivavano, ad imporre il loro volere sul territorio dei comuni di Cinquefrondi e di Anoia, assicurandosi anche il controllo del fiorente settore degli appalti boschivi e di ogni attività ad esso strumentale.
A far luce sulle dinamiche della cosca erano state le dichiarazioni di un affiliato al sodalizio poi divenuto collaboratore di giustizia, che, grazie alle sue dichiarazioni, aveva permesso di documentare la strategia e gli obiettivi di Giuseppe Ladini, 'ndranghetista associato alla carica del "Vangelo" indicato quale boss di Cinquefrondi.
In pochi anni, quest’ultimo aveva scalato le gerarchie della ‘ndrangheta e, forte di un vero e proprio esercito di picciotti, aveva dato vita ad una sua ‘ndrina, destinata a guadagnarsi fama per la spudoratezza delle modalità di azione, come poi riscontrato dalle stesse indagini dei carabinieri all’esito delle quali venivano contestati reati particolarmente gravi, fra cui estorsione, detenzione abusiva di armi, furto aggravato, ricettazione, favoreggiamento personale, danneggiamento seguito da incendio, violazioni delle disposizioni per il controllo delle armi, armi clandestine, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, tutti fatti aggravati dal metodo mafioso.
L’operazione aveva anche portato al sequestro di beni mobili, immobili, attività commerciali e rapporti bancari per un valore di circa 500.000 euro, riscuotendo il plauso dell’allora Ministro dell’Interno, che decideva la costituzione a parte civile dell’organo di Governo.
Con l’odierno provvedimento, si è così giunti al capolinea del loro iter giudiziario. A nulla, infatti, è valso loro il ricorso per Cassazione avanzato a seguito della sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria. Gli ermellini, infatti, si sono pronunciati il 12 novembre scorso, ritenendo insussistenti le doglianze avanzate dalle difese e perché venisse data esecuzione alla condanna definitiva: per i cinque arrestati si sono quindi aperte le porte del carcere di Palmi, dove dovranno ora scontare pene dai 3 ai 9 anni.
In particolare, per il 63enne Costantino Tripodi, tratto in arresto perché ritenuto il capo locale che G.L. voleva scalzare, è stato confermato il ruolo di direzione dell'associazione. A lui, in particolare, è stato imputato l’essere talmente intraneo ai segreti della ‘ndrangheta da averne preso parte ai riti di affiliazione che sancivano l’ingresso dei nuovi picciotti nelle consorterie e che servivano a regolamentare i rapporti interni ed esterni alle ‘ndrine.
Proprio in questa veste, aveva riconosciuto un posto di spicco nelle tradizionali riunioni della Provincia a Polsi. Fatti, per cui il vecchio boss dovrà ora scontare 9 anni e 8 mesi di reclusione.
Quanto ad Antonio Zangari, il ricalcolo della pena da parte della Procura Generale del periodo di detenzione, ha comportato l’applicazione della reclusione per anni 7 e mesi 6. In ordine ai suoi capi di imputazione, lo stesso veniva ritenuto intraneo alla ndrangheta, rivestendone la carica di capo società e contabile della locale di Cinquefrondi. A lui, inoltre, era stata data la dote del Vangelo.
Ettore Crea, invece, custode delle armi da guerra, dovrà ora scontare 4 anni e 4 mesi di reclusione, nonché provvedere al pagamento di una multa pari a 6.000 euro. In particolare, lo stesso era stato già arrestato il 1° marzo 2014, poichè trovato in possesso di un fucile mitragliatore di provenienza illecita.
Anche per Franceesco Longordo. non sono servite le rimostranze della difesa. Il condannato è stato infatti ritenuto colpevole del favoreggiamento personale del boss in ascesa, al quale aveva in più occasioni garantito l’elusione delle investigazioni dei carabinieri, “bonificando” l’abitazione del capo ‘ndrina dalle telecamere installate dagli investigatori e suggerendogli le cautele ritenute più idonee a non essere intercettato. Dovrà ora permanere nell’istituto di pena per 6 mesi, avendo già scontato, fra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari, 4 anni e 5 mesi.
Da ultimo, Antonio Raco, unico dei cinque arrestati già in carcere, dovrà scontare 6 anni di reclusione essendo stato ritenuto responsabile dalla Corte di Appello di Reggio Calabria delle contestazioni mosse dalla Procura Generale. L’imputato, nel 2017 era già stato condannato definitivamente per aver condotto un fiorente traffico di sostanze stupefacente ed ora, alla pena irrogata per quei motivi è stata cumulata l’odierna condanna, scaturita dal suo coinvolgimento nelle dinamiche della ‘ndrina in disamina, per conto del quale movimentava le armi del sodalizio.
Oltre alle pene detentive, per 3 dei 5 arresati, è altresì stata disposta la misura di sicurezza della libertà vigilata per 3 anni a partire dalla fine della detenzione. Per tutti è stata comunque disposta la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 5 e la revoca delle prestazioni previdenziali.