Durante un direttivo della Camera penale il professionista parlò delle minacce subite e del ruolo che sospettava avesse avuto il collega Antonio Larussa
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Si era confidato con i suoi colleghi Francesco Pagliuso. Aveva raccontato durante un direttivo della Camera Penale di Lamezia tenutosi proprio nel suo studio il sequestro che aveva subito.
Lo riportano le carte dell’indagine Reventinum che ha portato al fermo per associazione di stampo mafioso di dodici persone ritenute appartenenti alle due contrapposte cosche di ‘ndrangheta Scalise e Mezzatesta, operanti proprio nel Reventino.
In particolare l’avvocato Pino Zofrea raccontò agli inquirenti quanto riferitogli da Pagliuso, del sequestro, dell’incappucciamento, delle percosse. Pagliuso sarebbe stato poi trascinato in prossimità di una buca.
«Nel racconto non esplicitò gli autori – si legge nelle carte - di quei gravi fatti reato ma aggiunse che le motivazioni erano riconducibili a degli errori commessi, secondo un convincimento rafforzato nelle menti dei presenti dall’avv. Larussa, nella difesa per un procedimento penale che vedeva coinvolto proprio uno dei sequestratori (Scalise Daniele). Pagliuso – si legge ancora - asserì, oltremodo, di essersi salvato da morte certa grazie all’intervento del più anziano dei presenti (Scalise Pino). Quanto narrato dal Pagliuso, per suo volere, non fu oggetto di verbalizzazione durante il menzionato direttivo».
Presente in quella circostanza anche l’avvocato Teresa Bilotta che riferì agli inquirenti: «Ricordo che il giorno in cui ne abbiamo parlato, Pagliuso era abbastanza scosso e provato. Ha atteso che fossero arrivati tutti i membri del direttivo e in quella circostanza ci ha raccontato un episodio che ritengo essere molto grave; ricordo con precisione che ci disse che aveva avuto paura di non rivedere più suo figlio, atteso tale affermazione gli è stato chiesto cosa fosse accaduto e allora ci raccontò che era stato avvicinato da alcune persone, bendato e portato in un luogo che lui non aveva riconosciuto, con molta probabilità si trattava di un bosco internato, lì fu sottoposto a maltrattamenti fisici e minacciato, ritengo che lo stesso abbia trascorso un tempo non del tutto breve bendato e sotto minaccia. Ci disse inoltre che in quella circostanza era potuto ritornare a casa solo grazie all’intervento a suo favore di una persona lì presente».
La legale si sofferma poi sulla figura dell’avvocato Antonio Larussa: « Pagliuso diceva che il collega era subentrato alla difesa di alcuni suoi assistiti e che sicuramente l’episodio sopra narrato era riconducibile a ciò. Ricordo che Pagliuso disse che era un suo dovere riferire quanto accaduto, anche perché Antonio Larussa risultava essere anch’egli iscritto alla Camera Penale di Lamezia Terme, pertanto – aggiunge - si stabilì che Pagliuso avrebbe fatto un esposto e sarebbe stato avviato un procedimento nei confronti del collega Larussa Antonio. Ricordo però che Pagliuso non aveva depositato alcun esposto e, richiesto in tal senso, riferì che non ne avrebbe presentato; ritengo perché si fosse chiarito con il collega».
L’avvocato Marchese, invece, riferisce che in quell’occasione: «Pagliuso, persona solitamente sicura di se, decisa e abbastanza solare, era decisamente scosso e preoccupato da quanto accadutogli, anche perché oggi, ripensandoci posso dire che differentemente a quanto decise di fare a seguito dell’aggressione di Marcello Perri, ovvero di denunciare l’accaduto, nell’occasione di questo suo sequestro decise di non procedere a nulla evidentemente perché molto impaurito».