Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Quella sera stavo guardando, da solo, “Striscia la notizia” su Canale 5». Se di mezzo non ci fossero un morto ed un ferito, le dichiarazioni rese da Antonio Falcone, uno dei soggetti fermati questa notte nel corso dell’operazione “Kalané” avrebbero persino qualcosa di comico. Ma quanto reso dall’uomo agli operatori della polizia di Stato è invece l’alibi con il quale ha tentato di spiegare che lui con il tentato omicidio di Giuseppe Greco e l’omicidio di Domenico Polimeni non c’entra assolutamente nulla. L’improvvisata giustificazione, però, è crollata immediatamente, non solo per la sua intrinseca fragilità, ma perché Falcone ha dimenticato un particolare che gli uomini diretti da Francesco Rattà hanno fatto presto ad appurare: quella sera era domenica e da tempo, ormai, “Striscia la notizia” non va più in onda nei giorni festivi, per lasciare spazio (ironia della sorte) a “Paperissima”, programma noto per gli “scivoloni” di svariato tipo. Un po’ come quello di Falcone nel tentare di distogliere l’attenzione da sé.
Facciamo, però, un passo indietro e ripercorriamo le tappe che hanno portato alla rocambolesca individuazione dell’uomo. I poliziotti, il 4 aprile scorso, trovano prima il fratello Giuseppe, il quale non riferisce della presenza di un fabbricato posto a pochi metri di distanza, in un terreno di proprietà della famiglia, nella zona di Pettogallico di Reggio Calabria.
Successivamente al primo controllo, gli uomini della Squadra mobile tornano di nuovo nel medesimo luogo, per documentare la presenza di una Fiat Panda 4x4 in uso proprio ad Antonio Falcone, nonché certificare la sua irreperibilità. Intorno alle 8.45, i poliziotti notano che quell’autovettura è parcheggiata in una posizione diversa da quella precedente e notano un uomo che ha in mano un borsone. Questi, alla vista della Polizia, tenta di darsi precipitosamente alla fuga con scarsi risultati, dato che viene raggiunto e bloccato. Nel corso della successiva perquisizione, i poliziotti trovano una busta con all’interno una confezione di guanti chirurgici sterili in lattice, una torcia a led, un mazzo di 40 chiavi. Ma spuntano poi fuori altri tre significativi oggetti: un visore notturno, una cartina topografica del territorio circostante, un dispositivo di disturbo delle comunicazioni radiomobili.
L’esito dello stub, effettuato dagli uomini del gabinetto di polizia scientifica, diretti da Diego Trotta, fa il resto e conferma che entrambi i fratelli Falcone hanno utilizzato armi da fuoco. Con buona pace della fantasiosa ricostruzione di Antonio Falcone.
Consolato Minniti