Resta agli arresti domiciliari don Edoardo Scordio, 71 anni, l’ex parroco di Isola Capo Rizzuto coinvolto nell’operazione antimafia denominata “Jonny”. La prima sezione penale della Cassazione ha infatti ritenuto “inammissibile” per “genericità dei motivi” il ricorso della Procura di Catanzaro che aveva chiesto per l’ex parroco la custodia cautelare in carcere in riforma della decisione del Tribunale del Riesame che il 19 ottobre scorso ha mandato agli arresti domiciliari l’indagato.


Per la Suprema Corte, la Procura di Catanzaro attesta che «gli elementi asseritamente nuovi valorizzati dall'ordinanza impugnata erano già conosciuti dal Tribunale del Riesame al momento dell'ordinanza di riesame del 23 giugno 2017, ma tale affermazione, in assenza dell'indicazione delle ragioni di fatto che la giustificano, è generica», anche alla luce del contenuto dell'ordinanza impugnata che fa riferimento sia ad una dichiarazione dell'arcivescovo di Crotone, datata 13 ottobre 2017 - e quindi successiva all'ordinanza del Tribunale del Riesame -, da cui risulta che Edoardo Scordio è stato sospeso dall'ufficio di parroco; sia ad una relazione sanitaria della Casa circondariale di Vibo Valentia del 20 ottobre 2017 - e quindi successiva all'ordinanza del Tribunale del Riesame -, da cui si traggono informazioni specifiche circa le gravi condizioni di salute di Edoardo Scordio.

 

Allo stesso modo, con rinvio agli atti di altro procedimento, la Procura di Catanzaro ha inteso dimostrare che il fatto della disponibilità dell'Istituto della Carità dei Rosminiani ad accogliere Edoardo Scordio per l'esecuzione della restrizione domiciliare fosse già conosciuto in sede di riesame. Per la Cassazione, pure in questo caso «si tratta di non consentite modalità di adempimento dell'onere di specificità dei motivi, che impone le necessarie allegazioni dei fatti che costituiscono la ragione della doglianza messa a fondamento delle richieste».

 

Don Edoardo Scordio è indagato per il delitto di partecipazione, con ruolo apicale, ad un'associazione di tipo mafioso ed a vari episodi di malversazione a danno dello Stato, aggravati dalle finalità mafiose. A giudizio del Tribunale del Riesame - e quindi ora anche della Cassazione che ha respinto il ricorso della Procura - non vi sono in atti elementi da cui possa desumersi che l'indagato, ove sottoposto a misura diversa da quella carceraria, possa commettere fatti della stessa specie.

 

Al contrario, l'esigenza cautelare legata al pericolo di reiterazione criminosa - ad avviso dei giudici - perde i connotati di eccezionale rilevanza in ragione sia del fatto che non risulta l'inserimento dell'indagato in altra Confraternita, ovvero società o associazione dedita alla gestione di fondi pubblici inerenti o meno l'accoglienza dei migranti, sia del fatto che l'indagato è stato sospeso dall'ufficio di parroco, ministero religioso il cui esercizio, nella prospettazione di accusa, era funzionale alla gestione della Confraternita e del denaro destinato all'accoglienza dei migranti.

 

Assente anche il pericolo di inquinamento probatorio ed il pericolo di fuga. Da qui il rigetto del ricorso della Procura e la conferma degli arresti domiciliari per don Scordio, difeso dagli avvocati Armando Veneto e Saverio Ventura, sostituiti in udienza rispettivamente dagli avvocati Clara Veneto e Mario Saporito.

 

G.B.