Da rivedere la decisione con la quale il Tribunale del Riesame di Catanzaro il 24 novembre dello scorso anno ha sostituito la misura cautelare del divieto di dimora nel territorio della regione Calabria con quella del solo divieto di dimora nel territorio della provincia di Vibo Valentia (fermo restando il divieto di espatrio) nei confronti di Pino Bonavita, 75 anni, ritenuto il boss storico di Briatico unitamente ad Antonino Accorinti. In particolare, la seconda sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale del Riesame che aveva permesso il rientro in Calabria di Pino Bonavita, principale imputato del processo nato dall’operazione antimafia “Costa Pulita” che, con rito ordinario, è ancora pendente dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Erano stati proprio i giudici del Collegio di Vibo il 22 aprile dello scorso anno a rimettere in totale libertà Pino Bonavita per scadenza dei termini di fase di carcerazione preventiva. Bonavita aveva così lasciato gli arresti domiciliarie anche l’obbligo di indossare il braccialetto elettronico, tornando in totale libertà con il solo divieto di dimora in Calabria ed il divieto di espatrio all’estero. Divieto di dimorare in Calabria sostituito poi dal Riesame con il solo divieto di dimorare in provincia di Vibo.

Accogliendo il ricorso della Dda di Catanzaro, la Cassazione ha spiegato che il Tribunale del Riesame si è limitato a motivare la decisione «unicamente sul mero decorso del tempo, mentre la sostituzione in meliusdi una misura cautelareper giurisprudenza costante della Corte di Cassazione richiede invece che il giudice indichi gli elementi specifici idonei a far ragionevolmente ritenere che la misura meno afflittiva sia più adeguata a soddisfare le esigenze cautelari sussistenti allo stato».

A ciò bisogna aggiungere, ad avviso della Suprema Corte, che in tema di misura cautelare disposta per il reato di associazione mafiosa, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari può «essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale». Da tenere inoltre presente che alcuni imputati concorrenti con Pino Bonavita nel reato di associazione mafiosa – giudicati con il rito abbreviato – sono stati nel frattempo tutti condannati ed è pendente per loro il processo d’appello.

Per Pino Bonavita, unitamente ad altri 49 imputati, il processo di primo grado – con il dibattimento che si è aperto il 24 luglio 2017 – è ancora in corso. Gli viene contestato il reato di associazione mafiosa in posizione di promotore dell’omonimo clan di Briatico. Altra contestazione attiene all’intestazione fittizia di beni. Il 14 luglio 2016 era stato catturato dalla polizia a Praga dopo essersi dato alla latitanza proprio per sfuggire all’ordinanza di custodia cautelare emessa a suo carico nell’ambito dell’operazione antimafia “Costa pulita”.

Le risultanze investigative dell’inchiesta “Costa pulita” hanno evidenziato che Pino Bonavita ha “interessenze, tramite interposte persone”, in diverse imprese ed immobili quali: il villaggio “Green Garden di Briatico”; la “Horacle srl”; il “Green Beach srl”; appartamenti a Briatico siti in località “Piani di Vadi”; società di costruzioni di edifici Sicam srl”. Pino Bonavita viene anzi ritenuto dalla Dda “un vero e proprio partner di primo piano sia di Accorinti Antonino e sia dello stesso Mancuso Pantaleone detto Scarpuni”, con accordi fra Bonavita e Mancuso anche per «il sostentamento delle spese legali dei detenuti».