Gli operai che venivano «distaccati dalle imprese di primo livello sui cantieri ferroviari» spesso non avevano «alcuna competenza professionale» e veniva pure falsificata la «documentazione attestante le necessarie abilitazioni». Lo si legge nel decreto firmato dal gip di Milano, Luca Milani, che ha portato al sequestro preventivo di oltre 10 milioni di euro per frode fiscale, eseguito dalla Gdf, a carico di 11 società in una nuova tranche dell'inchiesta della Dda su presunte infiltrazioni della 'ndrangheta nei lavori sulla rete ferroviaria.

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Come emerso dalle indagini, Rfi, che è parte offesa, avrebbe commissionato lavori di manutenzione a grandi aziende, come appunto Gcf del Gruppo Rossi e Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie (tra le società indagate). E queste, a loro volta, avrebbero fatto ricorso, con la formula del «distacco della manodopera», ad altre società (le “cartiere” che emettevano fatture false) riconducibili alle famiglie Aloisio e Giardino legate, secondo l'accusa, alle cosche Nicoscia-Arena.

I lavoratori impiegati, riassume il gip, «venivano costretti a lavorare in condizioni di sfruttamento, essendo sottopagati, non godendo dei diritti spettanti ai lavoratori in regola (straordinari, ferie, riposi), in violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene sul lavoro e senza poter avanzare alcuna rivendicazione, pena la perdita del posto di lavoro o la sottoposizione a violenze e minacce». Operai che erano «in prevalenza originari di zone, come la Calabria jonica, in cui il reperimento di un'occupazione si presenta oltremodo difficile» e «risultavano beneficiari di una opportunità di lavoro, fattore in grado di creare consenso in favore delle famiglie mafiose».

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Le grandi imprese del settore, nel frattempo, sarebbero riuscite ad «aggiudicarsi la maggior parte delle commesse da Rfi spa proprio grazie alla gran quantità di somministrazione di manodopera che l'impresa “tossica” riesce a garantire, potendosi avvalere della manovalanza a basso costo “reclutata”, senza alcuna specializzazione» e «facendogliela avere “falsamente”, per lo più in Calabria, ad Isola Capo Rizzuto e Crotone». Reclutata pure «tra “affiliati” o pregiudicati anche con condanne» per associazione mafiosa.

Il gip riporta tutta una serie di intercettazioni che erano emerse nel primo filone dell'inchiesta e chiarisce che «il quadro delineato dalle conversazioni» è «quello di una espansione dell'area di azione delle imprese Aloisio, dovuta alla disponibilità che queste sono in grado di assicurare in termini di concessione di manodopera a condizioni vantaggiose per i sub-appaltanti».

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Intercettazioni che risalgono al 2018-2019 e che dimostrano, stando agli atti, anche come gli indagati riuscissero a volte ad avere «informazioni fornite in maniera anticipata rispetto alle ispezioni svolte dalla committente Rfi spa, dirette a verificare il rispetto delle norme in materia di sicurezza e sui lavori». Maurizio Aloisio, già condannato a 7 anni nella prima tranche, intercettato diceva: «Gli operai ve li ho sempre mandati?... voi quando chiamate giorno notte Natale Capodanno, Ferragosto io sono sempre presente».

In particolare, scrive il gip, «tra i fratelli Aloisio e Armafer», una delle imprese indagate, si è «instaurato negli anni uno stretto rapporto di collaborazione, che alimenta la pretesa di questa impresa di ricevere la manodopera dai primi solo per i suoi cantieri». In particolare, come si legge nel decreto, alla Globalfer sono stati sequestrati poco meno di 500mila euro, oltre 1,3 milioni di euro, invece, a Gcf del Gruppo Rossi e poi ancora oltre 1,7 milioni alla Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie.