Sono state depositate dalla Corte d’Assise di Catanzaro le motivazioni della sentenza con la quale l’11 novembre scorso è stato condannato a 22 anni di reclusione Antonio Pontoriero, 46 anni, di San Calogero, ritenuto responsabile dell’omicidio volontario di Sacko Soumaila, ucciso a colpi di fucile il 2 giugno 2018 nell’area dell’ex fornace “La Tranquilla”. 

Fra le fonti di prova valorizzate dalla sentenza, anche le dichiarazioni dei due ragazzi che si trovavano nella ex fornace abbandonata “La Tranquilla” di San Calogero per prelevare delle vecchie lamiere in ferro da portare nella baraccopoli di San Ferdinando. Una zona, quella della ex Fornace, che Antonio Pontoriero avrebbe considerato come cosa propria pur occupando, insieme ai familiari, i terreni intorno ed un casolare “senza averne alcun titolo ed abusivamente”. 

«Volontà di uccidere indiscutibile»

Per i giudici si è trattata di una vera e propria “caccia” all’uomo, un’azione criminale “deliberatamente posta in essere” da Antonio Pontoriero “per punire i sottrattori delle lamiere”. Nessun colpo partito per errore, dunque, poiché in tale caso Antonio Pontoriero avrebbe dovuto interrompere “l’azione ed invece la caccia è continuata con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle sue vittime la sua punizione”. A conferma dell’animus necando, i giudici sottolineano poi in sentenza la circostanza che l’azione del Pontoriero non si è fermata nemmeno dopo che Soumaila Sacko – chiaramente avvistabile dalla sua posizione – era caduto a terra colpito al capo: tanto a dimostrazione dell’assoluta accettazione, nella rappresentazione e volizione del soggetto agente, dell’evento morte quale possibile conseguenza della sua azione. La cartuccia a pallettoni era per struttura letale e se lo scopo – si legge in sentenza – fosse stato quello di una mera intimidazione, sarebbe stato sufficiente dirigere i colpi verso l’alto, come invece non era stato”.

Ci si trova, quindi, dinanzi ad una “volontà omicida indiscutibile”, con Antonio Pontoriero che ha sparato attingendo tutte e tre le vittime designate dimostrando ampia esperienza nell’uso dell’arma e con essa piena consapevolezza in ordine alla capacità lesiva del munizionamento”. In sostanza, Antonio Pontoriero “nel pomeriggio dei fatti, avvistati i tre extracomunitari intenti a sottrarre le lamiere dal tetto della fabbrica, sito sul quale – evidenziano i giudici in sentenza – la famiglia Pontoriero esercitava da tempo attività di sfruttamento e quindi di vigilanza, si era armato ed aveva preso a sparare ai malcapitati”, dirigendo i colpi verso “ciascuna delle vittime designate, colpendo a morte il solo Soumaila perché il secondo colpo era stato quello caricato a pallettoni”.

Il trattamento sanzionatorio

Per tali ragioni, la Corte ha ritenuto l’imputato non meritevole della concessione delle circostanze attenuanti generiche, avuto riguardo “al disvalore della causale  sottesa all’azione criminosa, atteso che Antonio Pontoriero non ha avuto remore ad attentare alla vita altrui per difendere il possesso di un bene abusivamente acquisito alla sua disponibilità, malgrado potesse raggiungere lo stesso effetto solo intimidendo, con condotta peraltro caratterizzata da reiterazione degli spari, sintomo di particolare intensità del dolo”. Da qui la pena a 21 anni per l’omicidio, più 8 mesi per il porto illegale in luogo pubblico del fucile e altri 4 per il reato di detenzione illegale d’arma per un totale di 22 anni di reclusione.

L’imputato è stato condannato altresì a risarcire le parti civili e fra queste il sindacato Usb di cui Soumaila faceva parte, sempre in prima fila nel difendere i diritti dei lavoratori. Il barbaro omicidio di Soumaila Sacko – padre di una bambina di cinque anni – ha suscitato un’ondata di indignazione in tutta Italia, dalle più alte cariche politiche ai cittadini comuni. Dopo un viaggio di oltre undicimila chilometri, il ragazzo – che si era recato in bicicletta da San Ferdinando nell’area dell’ex Fornace di San Calogero solo per prelevare delle vecchie lamiere – è stato sepolto nel cimitero di Sambacanou, un villaggio del Mali dal quale proveniva.

L’imputato era difeso dagli avvocati Francesco Muzzopappa e Salvatore Staiano. Parti offese nel procedimento, i familiari di Soumayla Sacko, tutti assistiti dall’avvocato Arturo Salerni del Foro di Roma. Il fucile con il quale è stato aperto il fuoco non è stato mai ritrovato.

LEGGI ANCHE: Omicidio Soumaila Sacko, in primo grado condanna a 22 anni per Pontoriero