Questa una delle piste battute da Procura e carabinieri che hanno dato una svolta immediata al caso emettendo un avviso di garanzia
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La Procura e i carabinieri di Vibo Valentia hanno avuto sin da subito le idee chiare. E la sera stessa del 2 giugno - mentre Soumaila Sacko, ferito a morte dalle scariche di fucile esplose dall’uomo della Panda Bianca, spirava ai Riuniti di Reggio Calabria - hanno bussato alla porta di Antonio Pontoriero, 43 anni di San Calogero. Il primo indagato, al momento, per l’omicidio dell’attivista maliano dell’Unione sindacale di base. Sigilli all’auto, ai vestiti che avrebbe indossato nella giornata, prova dello stub. Ieri, a Pontoriero, anche l’informazione di garanzia, in attesa dell’autopsia sul corpo della vittima che sarà effettuata domani dal medico legale Katiuscia Bisogni.
Decisiva la collaborazione dei compagni di Soumaila
Per i carabinieri, coordinati dal pm di Vibo Ciro Luca Lotoro, decisiva l’immediata collaborazione dei due compagni di Soumaila Sacko, uno lievemente ferito, l’altro illeso, dalle quattro scariche esplose dall’attentatore. Hanno dato una ricostruzione precisa, fornendo dettagli fondamentali. E il primo bagliore di luce dall’ufficio direttore dal procuratore Bruno Giordano e dai militari del colonnello Gianfilippo Magro, è arrivata. Anzi, mentre tutti – dagli immigrati ospiti della vecchia tendopoli di San Ferdinando alla politica nazionale - invocavano risposte, qui Procura e carabinieri la risposta l’avevano già.
Il movente
E il movente? Perché Pontoriero avrebbe sparato e ucciso Soumaila? Non è un delitto a sfondo razziale. Potrebbe trattarsi di un delitto permeato di cultura mafiosa. Soumaila e i due compagni erano all’ex Fornace, ex fabbrica di laterizi abbandonata e sotto sequestro dal 2011 perché tomba di 127mila tonnellate di rifiuti pericolosi, allo scopo di recuperare lamiere e materiale di risulta per costruire delle baracche. Un’intrusione di sopravvivenza. Per Pontoriero, quel sito, benché sotto sequestro, benché tomba di veleni, sarebbe stato cosa appartenente alla sua famiglia. E non è un caso se sotto processo per i veleni dell’ex Fornace teatro dell’agguato ci sia finito, tra gli altri, proprio lo zio Francesco.
L’indagato si nasconde
A San Calogero oggi sembra un giorno come un altro. Poca gente in strada ed il rumore delle auto a spezzare il silenzio. Secondo gli inquirenti è qui, in via Pirandello, che abita il presunto assassino di Soumaila Sacko. Porta chiusa, persiane serrate, nessuno risponde al citofono. Anche nella vicina via Mazzini - dove Antonio Pontoriero ha un negozio di laterizi le porte sono serrate. Ci sono i giornalisti in giro e le telecamere non sono gradite - Pontoriero, l’indagato, (il presunto o uno dei presunti assassini) non c’è, non si fa trovare. Vorremmo chiedergli cos’ha da dire circa le accuse che gli vengono mosse. Proviamo un contatto telefonico, è tutto inutile. Non resta che provare ad ascoltare il paese. Nessuno, però, ha voglia di parlare. E chi lo fa non usa certo toni garbati. Né coi giornalisti, né coi neri. Anzi, per Soumaila Sacko, per i disperati che cercano lamiere per le baracche di San Ferdinando. Per gli schiavi della Calabria nel terzo millennio, non c’è pietà. «Non è il primo nero che muore, è colpa dello Stato» - grida un uomo che si allontana imprecando.
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