L'imputato è stato riconosciuto colpevole di aver ucciso il sindacalista maliano nell’area dell’ex fornace “La Tranquilla” a colpi di fucile
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La Cassazione ha confermato la sentenza emessa l’11 febbraio dello scorso anno dalla Corte d’Appello di Catanzaro relativa alla condanna a 22 anni di reclusione nei confronti di Antonio Pontoriero, 49 anni, di San Calogero, ritenuto responsabile dell’omicidio volontario di Sacko Soumaila, ucciso a colpi di fucile il 2 giugno 2018 nell’area dell’ex fornace “La Tranquilla”.
L’imputato era difeso dagli avvocati Francesco Muzzopappa e Nico D’Ascola (in appello anche dall’avvocato Salvatore Staiano). Le parti civili del processo (i familiari di Soumaila Sacko e il sindacato Usb) erano invece rappresentate dagli avvocatiArturo Salerni (del Foro di Roma) e Mario Angelelli.
Fra le fonti di prova valorizzate nelle sentenze di merito anche le dichiarazioni dei due ragazzi che si trovavano nella ex fornace abbandonata – “La Tranquilla” di San Calogero – per prelevare delle vecchie lamiere in ferro da portare nella baraccopoli di San Ferdinando. Una zona, quella della ex Fornace, che Antonio Pontoriero avrebbe considerato come cosa propria pur occupando, insieme ai familiari, i terreni intorno ed un casolare “senza averne alcun titolo e quindi abusivamente”.
Volontà omicida indiscutibile
Per i giudici di merito si è trattata di una vera e propria “caccia” all’uomo, un’azione criminale “deliberatamente posta in essere” da Antonio Pontoriero “per punire i sottrattori delle lamiere”. Nessun colpo partito per errore, dunque, poiché in tale caso Antonio Pontoriero avrebbe dovuto interrompere “l’azione ed invece la caccia è continuata con imperturbata determinazione, sino a riservare a ciascuna delle sue vittime la sua punizione”.
A conferma dell’animus necando, i giudici di primo e secondo grado avevano sottolineato in sentenza la circostanza che l’azione del Pontoriero non si fosse fermata nemmeno dopo che Soumaila Sacko – chiaramente avvistabile dalla sua posizione – era caduto a terra colpito al capo: tanto a dimostrazione dell’assoluta accettazione, nella rappresentazione e volizione del soggetto agente, dell’evento morte quale possibile conseguenza della sua azione. La cartuccia a pallettoni era per struttura letale e se lo scopo – si legge in sentenza – fosse stato quello di una mera intimidazione, sarebbe stato sufficiente dirigere i colpi verso l’alto, come invece non era stato”.
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