Ezio Perfidio condannato in primo grado a trent’anni di carcere. Ora la famiglia dell’insegnante ucciso e poi carbonizzato nella sua auto, attende la decisione della Corte d’Assise d’Appello. «Il rito abbreviato non impedisce di comminare l’ergastolo»
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Stefano era suo figlio. «Solare, buono, tanto affettuoso, ingenuo», dice papà Gregorio. Si dedicava con passione allo studio, alla musica e all’arte. Era un giovane insegnante impegnato nel sociale. Gli ultimi momenti della sua esistenza li aveva spesi nel Cas di Nicotera, aiutando i ragazzi immigrati ad organizzare la Festa del rifugiato. Colto e fragile, era schiacciato da quel mal di vivere che l’aveva indotto a cercare conforto nella droga.
«Stefano soffriva di bipolarismo e nei momenti di grave depressione- spiega papà Gregorio -talora purtroppo cercava un sollievo in qualche sostanza stupefacente».
La famiglia che l’ha allevato con amore e dedizione, quel ragazzo così puro, fragile, e al contempo difficile, non l’ha mai mollato. «Noi genitori - dice il padre - eravamo estremamente preoccupati e con la collaborazione di uno psichiatra gli facevamo capire che la soluzione alla sua patologia erano i farmaci e non le sostanze a cui faceva ricorso».
Sono sempre rimasti al suo fianco, anche quando, nell’estate del 2016, fu lo stesso Stefano a decidere di lasciarsi andare. Assunse droga, si sentì molto male, tentò di togliersi la vita assumendo un mix di farmaci. Fu salvato dai medici ai quali, in un momento di lucidità, confidò che era stato pesantemente minacciato. Era stato avvertito da qualcuno: sarebbe stato ucciso tra atroci tormenti. «E Stefano, in quell’occasione - racconta Gregorio - dimostrò di preferire il suicidio, una dolce morte, ad uno strazio».
No. La famiglia non lo abbandonò mai. E sua madre, Gina, si mise perfino ad indagare sul giro di che aveva risucchiato il figlio. Scoprì il nome dello spacciatoree lo contattò, intimandogli di smetterla di rovinare, attraverso lo spaccio, la vita di Stefano e di altri ragazzi come lui. Determinata, Gina, segnalò il pusher anche ai carabinieri. Non immaginava, la donna, che da lì a breve chi aveva venduto fino ad allora veleno a suo figlio lo avrebbe alla fine ucciso con spietata ferocia. Tramortito, sparato, bruciato, punito con la morte.Correva il 19 giugno 2018. Il corpo carbonizzato di Stefano Piperno ritrovato nella sua Fiat Punto ridotta a lamiere in una zona di campagna.
Ci impiegarono poco la Procura di Vibo Valentia ed i carabinieri a chiudere il cerchio: il successivo 4 settembre Francesco ed Ezio Perfidio, padre e figlio. Ezio avrebbe assassinato Stefano. Francesco lo avrebbe aiutato nella distruzione e nell’occultamento del cadavere. Gli imputati, per i quali era disposto (alla luce delle prove evidenti) il giudizio immediato, scelsero il rito abbreviato. Il pm Filomena Aliberti chiedeva in particolare per Ezio Perfidio la condanna all’ergastolo. Il gup Tiziana Macrì riconobbe la sua colpevolezza, l’aggravante dei futili motivi ed escluse le attenuanti generiche, condannandolo alla pena di trent’anni di carcere. Il padre, Francesco, colpevole del concorso nella distruzione e nell’occultamento del cadavere, a sei anni di carcere.
Una sentenza che, malgrado abbia riconosciuto la piena colpevolezza degli imputati per la barbara uccisione di Stefano, lascia profonda amarezza nella famiglia Piperno. Francesco Perfidio, malgrado la condanna, oggi è libero. Per Ezio, spiega papà Gregorio, «speravamo nel fine pena mai». Sì, perché le argomentazioni del gup Tiziana Macrì nella sentenza sono chiare, efficaci e severe. «Ma per l’esecutore materiale dell’omicidio di mio figlio, come correttamente aveva chiesto il pm Aliberti, doveva essere disposto l’ergastolo».
Gregorio Piperno è un insegnante che ha vissuto gli ultimi anni gettato sulle carte del processo per la morte del figlio. Studiando il codice penale e di procedura penale. Un bagaglio di conoscenze che oggi lo induce a gridare forte il suo dolore e la sua sete di giustizia alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro davanti alla quale, il prossimo 23 ottobre, torneranno i due imputati.
Gregorio Piperno cita, al pari di un canuto giurista, una selva di riferimenti nomativi, poi sintetizza: «Alla luce delle stesse motivazioni addotte dal giudice per l’udienza preliminare, non riesco proprio a capire e ad accettare il fatto che all’assassino di mio figlio non sia stato comminato il massimo della pena. Ezio Perfidio rispondeva dell’omicidio aggravato del mio Stefano, della distruzione del cadavere e dell’incendio dell’autovettura con all’interno il corpo esanime di mio figlio. Si fosse celebrato il rito ordinario, per l’omicidio e gli altri reati, il codice avrebbe previsto l’ergastolo con l’isolamento diurno. Per l’abbreviato, invece, il codice penale prevede l’ergastolo».
Nel caso dell’assassino di Stefano «si presenta equa la pena dell’ergastolo - è scritto nella sentenza - sostituita, per effetto del rito prescelto con la pena di anni trenta di reclusione». Sentenza pronunciata il 21 novembre del 2019. Da allora Gregorio e Gina non si danno pace. Chiedono il fine pena mai e auspicano che le argomentazioni che saranno portate dai patroni di parte civiledavanti alla corte di secondo grado, possano avere riscontro. «Niente e nessuno ci restituirà nostro figlio o lenirà il dolore che proviamo. Ma chi ce l’ha strappato deve saldare fino in fondo il conto con la giustizia degli uomini».
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