La lettera dopo il pronunciamento della Corte d'Assise: «Rappresenta il giusto riconoscimento per tutte quelle persone che hanno concorso alla realizzazione di questo risultato»
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«Una sentenza che non annulla il male subito e che non allevia minimamente il dolore che ci porteremo nel cuore per la sua assenza». Antonella Pagliuso, sorella di Francesco Pagliuso, ucciso il nove agosto del 2016, commenta così in una lettera indirizzata alla stampa, a quasi cinque anni dalla morte del fratello, la sentenza con la quale il gup di Catanzaro Pietrò Carè nell’ambito del procedimento, con rito abbreviato, denominato “Reventinum” ha condannato Pino e Luciano Scalise all’ergastolo, con l’accusa di essere i mandanti di quella che fu, a tutti gli effetti, un’esecuzione.
«Una sentenza giusta, che fa Giustizia a mio fratello, all’uomo e al professionista che era, il cui coraggio, la cui lealtà e la cui specchiata integrità morale ne hanno caratterizzato l’esistenza in vita, da uomo e da avvocato, sono stati confermati, ove mai ce ne fosse stato bisogno, anche in esito alle indagini che hanno portato alla condanna di chi ne ha voluto la morte, nonostante i tentativi, da più parti promanati, di insinuare dubbi sulla sua integrità».
Il risarcimento
«Una sentenza - continua la sorella del legale - che, per me e la mia famiglia, dovrà avere e avrà esecuzione solo nella parte in cui dispone la condanna chi ha voluto la morte di mio fratello, ma che ci lascia indifferenti per tutto il resto e che non troverà mai esecuzione, nella parte in cui quantifica economicamente il risarcimento riconosciuto ad ognuno di noi familiari per la perdita subita, neppure per soddisfare i seppur nobili pensieri di chi ci ha invitati ad utilizzare il risarcimento economico a fini benefici. Io e la mia famiglia riteniamo che in nessun modo si potrebbe mortificare l’essere umano attraverso l’utilizzo di denaro intriso di sangue.
«È, invece, al contempo, una sentenza che rappresenta il giusto riconoscimento per tutte quelle persone che hanno concorso alla realizzazione di questo risultato. Un risultato sperato, atteso, arrivato in esito ad un processo in cui fin da subito si è capito da che parte stavano i professionisti per bene, e in cui, purtroppo, siamo stati finanche costretti - sottolinea Pagliuso - a subire l’altrui arroganza e tracotanza, talvolta finanche nascosta dietro a qualche sedicente toga».
«Professionisti, uomini e donne, nel cui operato ho intravisto la passione e la determinazione al raggiungimento della verità, dotati di uno spiccato senso del dovere e della giustizia e nei cui occhi ho riconosciuto un sentimento di umana partecipazione all’atroce e disumana ingiustizia che ci ha segnati per sempre. Uomini e donne in grado di rappresentare, in cinque anni di lungo silenzio e di sfiancante attesa, una presenza discreta e silenziosa, costante e rassicurante, in cui ho riposto le mie speranze, continua - certamente non rimaste disattese - di raggiungimento della verità e di realizzazione della giustizia».
«La giustizia degli uomini, certo, ma pur sempre giustizia. Una giustizia in cui ci riconosciamo e che sappiamo essere, con certezza e senza dubbio alcuno, la nostra giustizia, a prescindere dai diversi gradi di giudizio che comunque, sono convinta, confermeranno questa Giustizia. È a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo risultato che oggi va il mio ringraziamento».
I ringraziamenti
«Un ringraziamento in particolare va, ancora una volta, all’Arma dei Carabinieri, al Comando provinciale dei Carabinieri di Catanzaro e del Comando Compagnia dei Carabinieri di Lamezia Terme, oltre che ai militari in servizio presso il Comando Compagnia di Soveria Mannelli, ai ROS e, non certo ultimi per importanza, ai componenti del Raggruppamento operativo speciale – Sezione crimini violenti di Roma per l’impegno fin da principio profuso nell’attività di indagine e per la costante e confortante presenza che, per tutto questo tempo, non è mai venuta meno e ha sempre rappresentato, anche nei momenti di sconforto, un porto sicuro».
«E come dimenticare – aggiunge Antonella Pagliuso - i magistrati in servizio nella Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro e quelli allora in servizio nell’Ufficio della Procura del Tribunale di Lamezia Terme, la cui fondamentale presenza, fin dalle prime ore del mattino di quella notte, non è mai venuta meno. Anche qui, uomini e donne che, con professionalità e indicibile umanità, hanno sempre dimostrato il rispetto e la lealtà nutriti nei confronti di chi non c’era più oltre che una sincera partecipazione a quel sentimento di sana indignazione che normalmente avrebbe dovuto animare lo spirito di tutti, come invece in questa storia non è stato. E poi, ancora, tutti i magistrati del Tribunale di Lamezia Terme che fino a quel momento si erano interfacciati professionalmente con Francesco, nelle aule del Tribunale, ognuno dei quali, ognuno a modo proprio, ha concorso a non far morire il ricordo di mio fratello».
«Postrema autem, non minimus il mio grazie al collegio difensivo che ha affiancato me e la mia famiglia e che ci ha fatto sentire orgogliosi della Toga che indossano. Non ho invece bisogno di ringraziare chi, in questa storia, mi sta affianco ogni giorno come lo è stato sin dal primo giorno senza Francesco, facendomi credere nella favola e consentendomi di realizzarla: il mio studio, quello in cui Francesco vive e continua a vivere ogni giorno attraverso l’amore, la lealtà e il rispetto quotidianamente confermati verso di lui e verso tutto quanto a lui riconducibile, attraverso quella esatta ed elevata professionalità che Francesco avrebbe voluto. Sono sicura che oggi – conclude - pur non leggendo espressamente il proprio nome, ognuno dei destinatari del mio grazie è in grado di cogliere, in queste parole, il riferimento a sé».