VIDEO | La speranza nell’indagine della Dda di Catanzaro nelle parole della giovane: «Ci facciano capire cos’è successo». E in occasione della giornata internazionale contro la violenza di genere: «C’è tanto da fare per estirpare la subcultura mafiosa»
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Maria Chindamo e Federica Punturiero, madre e figlia. Due donne vittime della violenza. Alla prima hanno strappato la vita, alla seconda la mamma.
Siamo a Rosarno, Largo Bellavista. Sediamo sulla panchina rossa, simbolo delle donne che hanno pagato con la morte il prezzo della libertà, di una vendetta, di un amore che non era amore, di un legame malato. Donne uccise. Come Maria, imprenditrice di Laureana di Borrello, aggredita, assassinata e poi fatta sparire in perfetto stile mafioso nelle campagne al confine tra Limbadi e Rosarno. Era il 6 maggio del 2016. L'indagine è ora passata nelle mani della Procura antimafia di Catanzaro che intende fare piena luce su un delitto che ha scosso un Paese intero, quello dei femminicidi che alcun codice rosso e campagna di sensibilizzazione sono riusciti a fermare.
La scomparsa di Maria Chindamo
Era poco più che un’adolescente, Federica, quattro anni fa. Oggi è una donna, costretta a crescere in fretta. Ma sotto la mascherina scura mantiene il candore della giovane età. Parla al presente, mai al passato: «Maria Chindamo è mia mamma, Maria Chindamo è una donna speciale. Una donna forte, libera, lontana da tutti gli schemi della subcultura mafiosa».
Maria scomparve in coincidenza dell’anniversario del suicidio del marito. Un uomo buono e fragile, che tutti ricordano con grande affetto, che però non resse alla loro separazione e si tolse la vita. Amava Maria e non avrebbe mai voluto che qualcuno le facesse del male. Le indagini partono da qui: forse qualcuno a Maria non ha perdonato la sua scelta di libertà, quella di ricominciare un’altra vita, a cui seguì la morte di Ferdinando, suo marito. Forse qualcuno ha commissionato la vendetta agli ambienti del crimine organizzato. Si attende l’esito dell’inchiesta giudiziaria. E mentre si aspetta, la vita continua a scorrere.
L'appello alla Dda di Catanzaro
Federica affronta a testa alta questa storia così incredibile e struggente che ha sconvolto la sua famiglia e quindi la sua esistenza. È una ragazza che dimostra una forza straordinaria. Oggi ha 20 anni, studia Giurisprudenza e sogna di diventare magistrato. Ha gli stessi occhi della mamma, quella che abbiamo conosciuto dalle foto e dai video di famiglia diffusi anche dalle grandi reti nazionali.
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«Spero che la Dda di Catanzaro faccia il massimo per aiutare me e la mia famiglia a capire cos’è successo, a renderci giustizia - dice Federica - E a far sì che chi ha commesso questo crimine possa pagare». Il suo eloquio ha una forza incredibile: pause brevi e lunghe, non per trovare le parole giuste, è invece come se scavasse per ricercare dentro di sé l’autenticità del sentimento che intende esprimere. «Fosse davanti a me – spiega Federica – la ringrazierei, per tutto ciò che ha fatto ed è stata. La ringrazierei per essere stata mia madre».
La lotta contro la subcultura mafiosa
«La violenza contro le donne è una delle più vergognose violazioni dei Diritti Umani», è la frase di Kofi Annan impressa nella targa apposta sulla panchina rossa e vandalizzata da una mano vile, che dimostra come in alcuni territori ci sia ancora tanto da fare per estirpare la subcultura mafiosa. Ed è contro questa subcultura che Federica giura di battersi per il resto della sua vita: «Sì, mi batterò per questo. E per rendere giustizia a mia madre».