«Non l'ho ammazzato io». Si è difeso Domenico Fioramonte (in foto), l’uomo accusato dalla Dda di Reggio Calabria dell’omicidio di Fabio Giuseppe Gioffrè. Nella mattinata di ieri, il 41enne si è sottoposto all’interrogatorio di garanzia, accompagnato dal suo legale, l’avvocato Guido Contestabile.
Fioramonte ha rigettato, davanti al gip, le accuse della Dda di Reggio Calabria. Secondo quanto appreso, l'indagato avrebbe sostenuto che il giorno dell’omicidio, il 21 luglio scorso, all’ora del delitto stava lavorando e di non avere avuto nessun motivo per uccidere Gioffrè perché erano amici.
Si è difeso anche Giuseppe Laganà Comandè, accusato nella stessa inchiesta di estorsione aggravata dal metodo mafioso nei confronti della famiglia Fioramonte, in concorso con Saverio Santaiti. Laganà, difeso dall’avvocato Giovanni Piccolo, avrebbe detto al gip di non avere mai fatto richieste estorsive ai Fioramonte e di essere in buoni rapporti con loro.
Santaiti sarà sentito domani per rogatoria dal gip di Varese, dove si trova detenuto.
Nella giornata di ieri, subito dopo l’interrogatorio di garanzia, invece, il gip ha concesso gli arresti domiciliari a Salvatore Fioramonte, fratello di Domenico, arrestato dopo il rinvenimento nella sua abitazione di una pistola con matricola abrasa. Il giovane ha ammesso le sue responsabilità e, su richiesta dell’avvocato Contestabile, gli sono stati concessi i domiciliari.

L'inchiesta

Secondo la Dda Santaiti e Laganà avrebbero tenuto sotto estorsione la famiglia Fioramonte.
Gli imprenditori oleari avrebbero chiesto aiuto a Domenico Grasso, a capo dell’omonimo clan di Rosarno. Le intercettazioni ambientali captate nella casa dei Grasso, avrebbe fatto scoprire agli investigatori della sete di vendetta dei Fioramonte nei confronti di Laganà e Santaiti.
Per la Procura reggina, Gioffrè avrebbe approfittato della situazione per estorcere denaro ai Fioramonte.
Un tradimento da parte di un amico che avrebbe deteriorato i rapporti con i Fioramonti, tanto da portare Domenico a sparargli.

 

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