Udienza preliminare stamane dinanzi al gup di Vibo Valentia, Pia Sordetti, per il procedimento penale che mira a far luce sull’omicidio di Nicola Colloca, l’infermiere 48enne dell’ospedale di Vibo, residente a Vena Superiore, ucciso e bruciato vivo nella sua Opel Corsa ed il cui cadavere è stato ritrovato carbonizzato il 25 settembre del 2010 in una pineta a Pizzo. 


Il pm, Luca Ciro Lotoro ha oggi riformulato il capo di imputazione per alcuni imputati contestando due nuove aggravanti. In particolare, l’accusa di omicidio e distruzione di cadavere viene aggravata con la contestazione della premeditazione nei confronti di: Caterina Gentile, 49 anni, moglie della vittima, Luciano Colloca, 27 anni, figlio dell'infermiere, e Michele Rumbolà, 63 anni, di Vibo. L’aggravante invece di aver agito contro uno stretto congiunto viene contestata a Caterina Gentile e Luciano Colloca. Le parti civili (Colloca Antonio, Colloca Francesca Giuseppina e Panzitta Caterina), già ammesse dal gup, sono rappresentate dall’avvocato Diego Brancia.

L’accusa di concorso in omicidio e distruzione di cadavere, oltre che nei confronti di Caterina Gentile, Luciano Colloca e Michele Rumbolà, viene contestata a: Caterina Magro, 42 anni, nata a Vibo, ma residente a Terni; Nicola Gentile, 55 anni, di Vibo e Domenico Gentile, 43 anni, di Arena, cognati di Nicola Colloca.


Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la vittima sarebbe stata colpita violentemente con un corpo contundente in testa che ha provocato a Nicola Colloca un trauma cranico contusivo e fratturativo sulla porzione sinistra della volta cranica, produttivo di conseguenze encefaliche ed emorragiche. Gli imputati avrebbero poi distrutto il cadavere dandolo alle fiamme unitamente all’auto della vittima.


Il reato di favoreggiamento personale viene invece ipotizzato nei confronti dei coniugi: Domenico Antonio Lentini, 57 anni, e Romanina D'Aguì, 53 anni, entrambi di Vibo Valentia. Convocati in più occasioni dalla polizia giudiziaria quali persone informate dei fatti, secondo le indagini avrebbero reso dichiarazioni false e reticenti. 

In particolare, Romanina D’Aguì avrebbe negato di aver fornito aiuto per la ricerca di documentazione inerente un ricovero e degli esami clinici del defunto Nicola Colloca e di avere interessato Domenico Gentile affinchè si adoperasse a fornire indicazioni in merito all’autopsia su Colloca. Domenico Antonio Lentini avrebbe invece fornito agli investigatori indicazioni errate circa i riferimenti temporali inerenti il rinvenimento del cadavere di Nicola Colloca. In tal modo, D’Aguì e Lentini avrebbero aiutato gli autori dell’omicidio ad eludere le indagini della polizia giudiziaria. 

Movente del fatto di sangue, ad avviso degli inquirenti, l’acquisizione dell’eredità della vittima, ovvero circa 200mila euro accumulati dall’infermiere Nicola Colloca. Un fatto di sangue che presenta ancora diversi retroscena, con due relazioni extraconiugali a fare da sfondo ad un omicidio agghiacciante ed efferato per le modalità ed il successivo tentativo di sviare le indagini.


E’ stato l’antifurto satellitare dell’auto della vittima a fornire indicazioni ai carabinieri (della Stazione di Pizzo Calabro guidati all'epoca dai marescialli Pietro Santangelo e Paolo Fiorello, oltre al supporto dell'allora comandante della Compagnia di Vibo Diego Berlingieri), che avevano ricevuto la segnalazione della scomparsa, sino a condurli ad una pineta isolata nel territorio di Pizzo Calabro.


La morte di Nicola Colloca si sarebbe consumata nel pomeriggio del 24 settembre 2010. Prima di arrivare sul luogo dove è stato ritrovato il cadavere, l’auto di Colloca – guidata probabilmente da uno dei familiari – ha viaggiato senza meta per le strade di Vibo Valentia. Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Francesco Muzzopappa, Enzo Gennaro, Bruno Ganino, Salvatore Staiano e Pietro Chiappalone. L’udienza è stata rinviata al 16 aprile per la scelta del rito (ordinario o abbreviato) da parte dei difensori degli imputati. 

 

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