Il pm De Bernardo invoca anche 12 anni per il collaboratore Onofrio Barbieri. La requisitoria: «Valutare tutto anche il contesto associativo». Discrasie e conferme nei racconti del nuovo pentito Francesco Fortuna
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
Il pubblico ministero della Dda di Catanzaro, Antonio De Bernardo, ha invocato, al termine di quasi quattro ore di requisitoria, due ergastoli e una condanna a 12 anni di reclusione nell’ambito dell’omicidio di Domenico Belsito, ucciso il 18 marzo 2004 a Pizzo.
Il pm, davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro presieduta da Massimo Forciniti, ha chiesto il fine pena mai nei confronti di Domenico Bonavota - al vertice dell’omonima cosca e indicato quale mandante del delitto – e di Salvatore Mantella, cugino e appartenente al gruppo facente capo ad Andrea Mantella (oggi collaboratore di giustizia). Secondo le ricostruzioni investigative Salvatore Mantella avrebbe guidato l’auto con a bordo il killer ovvero Francesco Scrugli (anche lui fedelissimo di Andrea Mantella, freddato nel corso un agguato nel 2012). Dodici anni sono stati chiesti nei confronti del collaboratore di giustizia Onofrio Barbieri che si è autoaccusato di aver partecipato alle fasi prodromiche del delitto procurando, in particolare, l’auto rubata adoperata per l’agguato.
La volontà della cosca di uccidere Belsito
Nel corso della requisitoria l’accusa ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tra i quali Bartolomeo Arena, Andrea Mantella, Onofrio Barberi e Francesco Fortuna. Sottolineata l’importanza di un dato: due collaboratori di giustizia – Fortuna e Barbieri – erano intranei alla stessa cosca Bonavota. Inoltre Fortuna, Barbieri e lo stesso Andrea Mantella hanno partecipato nella preparazione e all’esecuzione dell’omicidio.
Il contesto associativo
«Va valutato tutto – ha detto il pm – anche il contesto associativo».
Un contesto associativo che traspare dalle riunioni, come raccontano i collaboratori, tra i Bonavota e i Cugliari, nel corso dei quali si discuteva della volontà di uccidere Belsito.
Francesco Fortuna e Onofrio Barbieri, sottolinea il pm, apportano elementi nuovi all’impianto accusatorio riferendo le vicende interne al gruppo Bonavota.
Le discrasie di Fortuna
Per quanto riguarda, in particolare, Francesco Fortuna, l’ex killer della cosca che dallo scorso 30 agosto sta parlando con la Dda di Catanzaro, secondo l’accusa è da rilevare il fatto che Fortuna non riporti quanto potrebbe avere appreso dai verbali degli altri collaboratori e dagli atti di indagine (essendo egli stesso imputato in appello per lo stesso delitto) ma ha fornito elementi personali pur entrando, su alcuni punti, in discrasia con quanto dichiarato da Mantella. Due gli elementi di contrasto che spiccano maggiormente: la distruzione della pistola usata per il delitto e le motivazioni del delitto. Secondo Mantella, Arena e Barbieri, la vittima era intranea alle cosche di ‘ndrangheta e si sarebbe avvicinata a Domenico Di Leo, a sua volta ucciso da Francesco Fortuna (che ha una condanna definitiva per tale delitto) il 12 luglio 2004 a Sant’Onofrio perché in contrasto con i Bonavota per gli interessi sull’area industriale di Maierato.
Secondo Francesco Fortuna il delitto Belsito sarebbe da ricondurre esclusivamente a una questione d’onore: Belsito era legato da un rapporto extraconiugale con la sorella di un loro sodale.
Le conferme di Fortuna
Il pm si rivolge alla Corte: «Io so che si arriverà a una sentenza di condanna anche senza l’apporto di Francesco Fortuna. Che però è importante».
L’accusa, citando la Cassazione, fa notare come le discrasie di Fortuna siano «apparenti e fisiologiche». Al netto di queste, infatti, Fortuna «conferma il nucleo essenziale del costrutto probatorio». Conferma la volontà omicidiaria del gruppo Bonavota. Conferma la cortesia di eseguire l’agguato chiesta da Domenico Bonavota a Mantella. Conferma le riunioni propedeutiche per l’omicidio.
Le cause della morte di Belsito
Domenico Belsito non morì sul colpo perché, dice Fortuna, la pistola di Scrugli si inceppò. La vittima venne portata in ospedale e morì nel nosocomio di Vibo Valentia qualche giorno dopo.
La difesa di Andrea Mantella ha sostenuto, attraverso una ipotesi di consulenza, che la causa della morte di Belsito sia dovuta anche alla negligenza dei sanitari che ebbero in cura il ferito.
Ma la perizia sulle cause della morte, afferma l’accusa, «dice altro». Citando la Cassazione il pm afferma che anche se intervengono elementi successivi, non cambia la natura del reato: «Belsito è stato sparato».
Processo senza parti civili
In questo processo «nel quale non c’è alcuna costituzione di parte civile», il pm De Bernardo ricorda le parole di Andrea Mantella che rammaricandosi di quello che ha fatto afferma oggi «Io ho ucciso la mia vita». «È pesante sentire – dice De Bernardo – le parole di persone che hanno compromesso la propria esistenza». La giustizia, però, deve fare il suo corso.