Se le proporzioni saranno quelle dell'inchiesta "Quinta Bolgia" non è ancora certo, quel che è certo però è che la Guardia di Finanza non ha mai smesso di indagare sull'Azienda sanitaria provinciale di Catanzaro, sciolta per infiltrazioni mafiose proprio a seguito di quell'inchiesta istruita dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e scattata nel novembre del 2018. Interessi stratificati nella gestione del servizio di ambulanze e delle onoranze funebri all'ospedale di Lamezia Terme che, secondo la Procura, avrebbero consentito ai clan della città della piana di infiltrare l'ente sanitario esercitando pressioni indebite e imponendo una sorta di monopolio di mercato. 

Le tracce dentro la sede di Madonna dei Cieli

Ma questi sarebbero solo una parte degli elementi raccolti in una prima fase dagli investigatori. Gli accertamenti sono andati avanti, inizialmente ad opera della commissione d'accesso antimafia e adesso dalla Guardia di Finanza che ha seguito le tracce che portano fin dentro gli uffici amministrativi catanzaresi di Madonna dei Cieli e alla gestione "opaca" della mastodontica azienda che vanta duemila dipendenti, un bacino di utenza di ottanta comuni, eroga prestazioni sanitarie ad una popolazione di circa 370mila abitanti e macina un fatturato annuo di circa 600 milioni di euro. Quasi a cadenza giornaliera le Fiamme Gialle fanno visita in via Vinicio Cortese portando via incartamenti e fascicoli riguardanti, in particolar modo, la gestione amministrativa dell'ente.

La relazione e gli omissis

E la direzione verso cui volgono anche le attuali indagini le indica la stessa relazione stilata dalla commissione d'accesso antimafia laddove in luogo della descrizione del ruolo svolto da alcuni dirigenti e funzionari dell'Asp catanzarese si trova un largo omissis. Ben tredici le pagine omissate nelle quali vengono descritte, in maniera sintetica, le condotte di alcuni dirigenti e funzionari su cui - si legge nella relazione - «verrà concentrata l'attenzione». Aspetti meramente gestionali che riguardano la predisposizione delle gare d'appalto, spesso condotte in maniera "volontariamente" omissiva producendo così un deterioramento della qualità dell'offerta come conseguenza diretta delle lacune procedurali. Sarebbero almeno due i nomi ricorrenti nella relazione vergata dal prefetto, Francesca Ferrandino, uno dei due in un caso direttamente individuato come responsabile di comportamenti che avrebbero spalancato le porte «all'affidamento dei servizi a ditte contigue alle consorterie criminali». 

Chi sapeva non interveniva 

E non è un caso se nelle conclusioni, viene indicato proprio quale aspetto più allarmante «l'evidente inefficienza dell'Asp nel provvedere autonomamente al ristabilimento della legalità in presenza di situazioni critiche ben note ai vertici aziendali». Insomma, chi sapeva non interveniva, aprendo così la strada allo scioglimento dell'ente e all'insediamento della triade commissariale che oggi regge le sorti della mastodontica azienda sanitaria.