Nunzia Coppedè con la disabilità è nata. Un corpicino già deformato quello venuto alla luce. Gambe incrociate, braccia sghembe, mani con pollici piegati e aderenti al palmo mentre le altre dita erano storte e rigide. I primi cinque anni della sua vita Nunzia li ha passati tra interventi chirurgici e ingessature che avrebbero dovuto rimettere in posizione le sue ossa. Un tormento per una bambina.

 

E il peggio doveva ancora venire. Per potere studiare Nunzia chiede di potere entrare nell’Istituto Cottolengo di Roma. Ma i dieci anni trascorsi lì sono difficili e lunghi. Nessuna scuola all’interno e un'unica missione per chi avrebbe dovuto prendersi cura di lei: metterle in testa che essendo disabile non avrebbe avuto alcun futuro al di fuori di quella mura: «Mi dicevano che avrei solo potuto chiedere l’elemosina per strada, che la mia famiglia non mi voleva, che qualora qualcuno mi avesse sposato sarebbe stato di certo un ubriacone violento».

 

Forme di violenza psicologica che Nunzia denuncerà. Perché quella meravigliosa “mente” che Nunzia Coppedè si è dimostrata “lavorava” sopita già da allora. Ecco che allora, di nascosto, Nunzia scrive a don Franco Monterupianesi della Comunità di Capo D’Arco. La lettera giunge a destinazione e il sacerdote la fa uscire dall’istituto e la coinvolge nelle sue attività.

 

«Non è stato semplice uscire dall’istituto- ci dice Nunzia - per prima cosa ho denunciato il Cottolengo di Roma, poi ho dovuto abituarmi ad un nuovo approccio nei miei confronti. A Capo D’Arco non ero messa da parte, da me si pretendeva, dovevo iniziare a riprendere possesso di me stessa».

 

Nunzia inizia anche a frequentare gli ambienti femministi, a scoprire il proprio corpo che prima aveva annullato: «In istituto mi facevano coprire le gambe sempre con una coperta. Dicevano che se mi avesse visto una donna incinta avrebbe potuto spaventarsi ed avere un malore».

 

Nunzia è tra le fondatrice della Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme ed è la presidente regionale della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (Fish). Nunzia ha lasciato l’angolo in cui era stata messa e forte di se stessa non solo ha realizzato se stessa come persona e professionista ma è oggi un riferimento per gli altri.In vista dell’imminente otto marzo ecco il suo messaggio alle donne calabresi: «Devono essere più attive, non lasciarsi confondere dall’assistenzialismo ma essere protagoniste altrimenti ci ritroviamo poi circondate da un mondo che non ci piace».