«Chi sa e ha una coscienza parli». Lo urlano i familiari di Pasquale Andreacchi, consumati dal dolore ma non azzittiti o piegati nell’anniversario della scomparsa del giovane. Nove anni di silenzi, di testimonianze ritrattate, di indagini fallite ma gli Andreacchi continuano a chiedere e pretendere giustizia per il loro ragazzo sequestrato e ucciso a Serra San Bruno l’11 ottobre 2009. Nove anni di lotte i loro, in cui non si sono mai risparmiati per assicurare alla giustizia chi non solo rubò la vita a Pasquale, ma ne diede anche il corpo in pasto agli animali selvatici facendolo poi ritrovare a tranche.


Una vicenda tanto barbara quanto amara quella del “gigante buono” di Serra San Bruno. Così veniva chiamato Pasquale perché era alto più di due metri ed era timido e riservato, tanto da riuscire difficilmente a reggere lo sguardo altrui. Poco più che un bambino, non ancora un uomo, estraneo ad ambienti malavitosi, ucciso con ferocia.


L’unica pista seguita il debito per un cavallo, uno stallone. Pasquale lo aveva acquistato da poco e non era ancora riuscito a saldarne l’acquisto perché il premio assicurativo su cui contava per sanare la cifra non era arrivato. Era stato proprio lui a confidare di essere stato più volte minacciato dai proprietari dell’animale che avrebbero voluto venire in possesso del saldo della somma dovuta subito.


Una pista che fino ad ora non ha portato a nulla. Il caso era stato anche archiviato, poi riaperto, alcune testimoni si sono ritirati. La famiglia ha cambiato negli anni diversi legali. Le indagini sembrano ferme ad un punto morto. Eppure, qualcuno ha premuto quel grilletto che ha sparato i colpi che hanno causato i fori al femore e al cranio di Pasquale. E quel qualcuno è a piede libero.