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La Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura generale di Catanzaro avverso la sentenza assolutoria della Corte d’Appello emessa in data 12 aprile dello scorso anno, con la formula “perché il fatto non sussiste”, nel processo a carico di Francesco Bagalà di Gioia Tauro (difeso dall’avvocato Patrizia Surace) e Mariano Rocca di Catanzaro (assistito dall’avvocato Antonio Ludovico).
La vicenda riguardava il reato di tentata turbativa d’asta
Bagalà - imprenditore interessato ad una procedura ad evidenza pubblica indetta dall’Anas - in veste di mandante e Rocca (centralinista dell’ente) in quella di esecutore, avrebbero tentato di manomettere e danneggiare delle telecamere di videosorveglianza poste all’interno dell’ufficio gare dell’Anas per favorire l’accesso e la visione della documentazione di gara custodita all’interno dello stesso ufficio e turbare quindi la procedura di pubblica evidenza.
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I giudici di secondo grado avevano ritenuto gli appelli dei difensori persuasivi, ritenendo che non vi fossero prove convincenti in ordine ad una collusione in atto e in ordine al fatto che il Rocca avesse contatti telefonici con il proprio cellulare solo con Bagalà (stante il guasto del telefono dell’Anas lo stesso sarebbe stato costretto a utilizzare la propria utenza) e che avesse libero accesso alla cassaforte. Altresì, carenza di prove è stata rilevata sull’interesse che Bagalà avrebbe coltivato nell’intera vicenda, posto che era già stato escluso dalla gara per via di un’interdittiva antimafia.
La Cassazione, quindi, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro ponendo fine ad un processo che, ad avviso dei difensori, ha “danneggiato enormemente l’immagine dei due ex imputati tanto che Rocca – spiegano gli avvocati – ha addirittura rischiato di perdere ingiustamente il proprio posto di lavoro”.