Sono le 11 del mattino di Natale e Carmen porta ancora sul volto le tracce delle prime ore di lavoro in corsia. I segni rossi sul naso e sugli zigomi impressi dalla maschera e dagli occhiali ben pigiati sulla pelle per isolarla dal contagio. Augura buon Natale con una voltata di spalle, al di là dei vetri della stanza a pressione negativa.

La soglia incolore

La scritta campeggia sulla schiena, impressa sulla tuta da lavoro, unica arma di difesa contro la diffusione del virus. Dalle 8 di questa mattina è, infatti, impegnata nel ripristino di una stanza nel reparto Covid 1 dell'ospedale Pugliese di Catanzaro. Un paziente è stato fortunatamente dimesso e la degenza è adesso pronta ad accogliere nuovi ospiti. La soglia fatale che separa lo spazio Covid dal no Covid e dove la quotidianità della vita cede il passo ad un mondo sintonizzato sulla vuota ripetizione di giorni sempre uguali: privi di ogni colore.

Al di là del vetro

Ed è questo incolore trascorrere dei giorni che medici, infermieri e operatori sociosanitari tentano di curare, soprattutto durante le feste natalizie, periodo dell'anno notoriamente dedicato alla stretta calorosa degli affetti più cari. «È troppo facile parlare quando si è di qua, bisogna però sforzarsi di capire quel che si prova quando si è di là» sintetizza efficacemente Simone, infermiere al reparto Covid 2 dell'ospedale Pugliese. «Noi a fine turno torniamo a casa e riabbracciamo i nostri familiari. Loro no, non possono tornare a casa». 

Gli occhi dei malati

Così trascorrere il Natale in corsia può acquistare anche un senso nuovo, diverso: «Forse la differenza la avvertono più di noi i pazienti perchè loro non possono riabbracciare i parenti» aggiunge Roberta, operatore sociosanitario. «E non c'è neppure bisogno di esprimerli certi sentimenti, gli si legge negli occhi. Questa mattina, ad esempio, una paziente ascoltava la messa di Natale. Un'altra qualche giorno fa mi ha chiesto: "Se mio figlio si veste come voi, può venire qui da me?"»

L'odore della pizza

Storie di ordinaria umanità in un anno squarciato dall'emergenza: «In questo momento la loro famiglia siamo noi» precisa ancora Simone. E loro ce la mettono tutta per riannodare i fili di questa quotidianità perduta: «Tempo fa, quando ho fatto il turno di notte abbiamo dato un pezzo di pizza ad un paziente» racconta Roberta. «E lui ci ha detto che non ricordava neppure più l'odore della pizza». Qualcun'altro ha avuto l'ardire anche di chiedere patate e peperoni, un paziente di Lamezia Terme. Sintomi di una vita che non si arrende alla malattia ma si appiglia a suoni, colori e sapori.

Buon Natale... in corsia

«Ieri sera a fine turno, prima di andare via, mi sono soffermata a fare gli auguri ad una paziente e lei ha iniziato a piangere» spiega Carmen commossa. «Così le ho chiesto se i suoi figli stavano bene, poi le ho detto che dal suo arrivo in ospedale era molto migliorata e di pensare che avrà certamente in futuro ancora modo di festeggiare altri Natali con i suoi cari».

Una famiglia allargata

È una famiglia allargata il centro Covid dell'ospedale Pugliese di Catanzaro: «Le più belle vigilie di Natale le ho trascorse in reparto con gli infermieri» conferma Armando, medico. «Alla fine il lavoro vero lo fanno loro e gli operatori sociosanitari». E c'è pure chi, di turno il giorno di Natale, si sveglia all'alba - alle 4.45 - per essere puntuale al lavoro: «Vengo da Roccabernarda ogni giorno - precisa Salvatore, operatore sociosanitario -. Due ore di macchina però lo faccio con amore, credimi. È un onore poter aiutare veramente chi ha bisogno, soprattutto in questo momento». Salvatore è precario e ha due figli. Ad aprile scadrà il contratto a tempo determinato ma i colleghi lo rassicurano: «Non ti facciamo andare via, vedrai che rinnovano».