Il Corte d’Appello a Reggio Calabria la prima requisitoria del procuratore: «Graviano aveva ricevuto un mandato ben preciso: doveva gestire la stagione delle stragi» (ASCOLTA L'AUDIO)
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È il racconto dei pentiti a scandire le ultime ore della prima parte della requisitoria del processo 'Ndrangheta Stragista in corso alla Corte d’assise d'appello di Reggio Calabria. E il procuratore Giuseppe Lombardo ha rimesso in fila dichiarazioni ed avvenimenti che lasciano emergere la centralità della ‘ndrangheta nel disegno della stagione delle stragi.
I collaboratori hanno fatto «riferimento a riunioni operative dove la componente siciliana chiede a quella calabrese di unirsi alle azioni criminali già in corso – ha ribadito Lombardo - Non è che non si è mai parlato, nella realtà processuali costruita in vari processi, di quest’unione. Esiste traccia delle richieste fatte da Cosa nostra alla ‘ndrangheta».
I pentiti
E a confermare queste richieste sono stati vari collaboratori di giustizia che «hanno fatto riferimento al rifiuto, quindi di non aver aderito alla richiesta della Sicilia in quanto intimoriti dalla reazione delle componenti statali». Ed è andato indietro negli anni, al racconto fatto da Peppe Mancuso nel 2009, quando parlò di come l’incontro «avvenne attraverso Graviano. Brusca ha confermato i rapporti tra le due componenti ma ha detto di non ricordare un suo incarico di interlocutore con i calabresi. Graviano aveva ricevuto un mandato ben preciso: doveva gestire la stagione delle stragi».
La strategia del terrore
Lombardo ha spiegato, attraverso la narrazione di diversi fatti storici, di come la criminalità abbia messo in atto una vera e propria «strategia del terrore». E ha ricordato del fallito attentato allo stadio Olimpico: «Solo una coincidenza, il malfunzionamento di un telecomando, non ha fatto una strage di decine di carabinieri che facevano servizio allo stadio in quella giornata».
Non erano azioni mirate «a colpire specifiche persone appartenenti alle forze dell’ordine o che avevano dato fastidio alla criminalità organizzata. Qui l’azione criminale è del tutto diversa. Un attacco all’istituzione in quanto tale. Con un messaggio che può essere capito fino in fondo solo da pochissimi soggetti. Tanto l’opinione pubblica che le istituzioni dovevano intendere che il solo fatto di indossare la divisa trasformava ogni militare in un possibile bersaglio. Questa è la strategia del terrore. Si passa dalla logica criminale tipica a quella con connotazione terroristica eversiva».
Mafia e politica
Non gesti casuali, quelli compiuti dalla criminalità negli anni 90 ma azioni mirate, ha spiegato Lombardo. «Un gesto che doveva dare un senso di inarrestabilità al fine di accrescere nel paese la paura determinata dal fatto che anche chi doveva avere il compito di difendere gli altri non riusciva a difendere se stesso. È la stagione ideale per recuperare la centralità che per una serie di vicende è stata persa. Esiste un tessuto fragile in Italia che deve essere recuperato attraverso l’individuazione di nuovi interlocutori. E per i cittadini è l’arma dei carabinieri, proprio per questo deve essere colpita».
La mafia, dunque, aveva un disegno ben preciso e «indipendentemente dalle responsabilità personali noi abbiamo una ricostruzione in cui si dice che ci fu certamente un contatto finalizzato a far cessare le stragi. Una stagione di sangue che doveva finire. E – ha ribadito il procuratore - al di fuori di determinati schemi che sono assolutamente regolari questo tipo di interlocuzione non dovrebbe esserci».
Falange armata
«Nel 1996 le dichiarazioni erano chiare: hanno usato la sigla falange armata e il primo ad utilizzarlo fu Papalia». Un calabrese dalla caratura internazionale, ha ricordato Lombardo, evidenziando la potenza della ’ndrangheta che, volutamente ha invece mantenuto un profilo basso rispetto a Cosa nostra. «Non erano dei veggenti, era un progetto che iniziò con l’omicidio di Scopelliti. Non sono coincidenze o veggenti. Perchè Riina rivendicò le stragi proprio con la sigla falange armata? Era consapevole che il Papalia l’aveva già utilizzata. Perchè dovevano mandare un chiaro segnale, un identico messaggio e un segnale di unitarietà. E lo facevano perché evocando quel tipo di ambienti con i quali avevano rapporti erano in grado di capire di che si stava parlando. La strategia era ben più alta ovvero la sostituzione di una classe politica nuova portata avanti dai vertici di cosa nostra e ‘ndrangheta».
Un intreccio con la politica richiamato in più occasioni. «Un’interlocuzione indispensabile. Non era possibile ristrutturare una serie di assetti di potere senza trovare nuovi interlocutori politici e questi sono stati individuati indipendentemente dal fatto che si possano accertare responsabilità personali. L’insicurezza sociale accresce paura e incertezza. Non a caso il nuovo interlocutore politico arriva alla fine della stagione delle stragi. Sanno che per garantire un ritorno economico devono per forza interloquire con lo Stato».
Il summit nella Piana
«Noi il riscontro della presenza di Craxi e Berlusconi sulla Piana non lo abbiamo». Lo ha messo in chiaro Lombardo volendo ribadire come questo «non può minare la tenuta della testimonianza di Bruzzese. Assolutamente no, perché Bruzzese il riferimento a quell’incontro lo ha fatto subito. La dichiarazione tempestiva deve essere valutata sulla base di parametri logici: che beneficio ne trae Bruzzese a parlare di Craxi appena inizia a collaborare? Lo ha detto lui: “Ho raccontato quello che ho visto quando ero un ragazzino. Perché non sarebbe attendibile quando rischiando tantissimo parla di Craxi fin dal primo verbale? Se abbiamo recuperato le dichiarazioni di Spatuzza su Berlusconi allora perché non farlo con Bruzzese. Non ci ha consegnato elementi inverosimili».