VIDEO | Per gli avvocati Staiano e Contestabile «gli innocenti non possono pagare colpe che non hanno». L'imputato è accusato di essere il mandante, assieme al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo
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«Gli innocenti non possono pagare colpe che non hanno». Con queste parole gli avvocati Guido Contestabile e Salvatore Staiano, difensori dell'imputato Rocco Santo Filippone si sono rivolti alla Corte d'assise d’Appello di Reggio Calabria, davanti alla quale si sta tenendo il processo 'Ndrangheta stragista. Filippone è accusato dalla Dda reggina di essere stato il mandante, assieme al boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994 sull'autostrada, all'altezza dello svincolo di Scilla.
La difesa, intervenuta dopo la requisitoria del procuratore Giuseppe Lombardo che ha chiesto la conferma dell'ergastolo per entrambi gli imputati, ha sottolineato come «Non è con il loro inutile sacrificio che si rende onore alle vittime di un’azione vile e scellerata: tanto quelli morti innocenti, quanto Rocco Filippone che a 83 anni e in gravi condizioni di salute, non può morire in carcere con lo stigma dello stragista. Perché non lo è mai stato! Non ha mai preso parte, né ha avallato accordi con Cosa nostra per adeguare la strategia stragista in Calabria».
Gli avvocati hanno deciso di puntare la difesa minando la credibilità dei collaboratori di giustizia: « Il processo si sorregge su tre fonti: Villani che dice di non sapere chi ha armato la sua mano; Logiudice che dice di avere certezze sul mandato di Rocco Filippone proprio per averle apprese da quell’incerto Villani e Calabrò che smentisce un coinvolgimento dello zio nei tragici fatti che lo hanno visto protagonista. Una prova malformata, gracile, imperfetta e discordante che solo con un audace sforzo di fantasia creativa è stata ritenuta unitaria dalla sentenza di primo grado».
Ed è partendo dal grande lavoro della Procura che gli avvocati hanno sostenuto l’innocenza di Filippone: «Mi rendo perfettamente conto che è facile stare dalla parte della Procura: un Procuratore attento e capace, di grande comunicazione, che tutela le vittime di un agguato. Vittime che non sono vittime qualsiasi, ma sono carabinieri morti o feriti nell’adempimento del dovere. Ma la verità non ha simpatie o antipatie. Non corre dietro l’opinione pubblica o i media. Non deve essere compiaciuta o blandita. La verità è l’ambizione del giudice e si trova, sola, negli anfratti della sua anima. Impermeabile e scomoda, come scomoda è la sentenza che avrete l’obbligo di emettere. Questo processo fra qualche giorno sarà dimenticato. Il procuratore affronterà nuove indagini, voi giudicherete altri imputati e noi avvocati torneremo al nostro studio. Ognuno di noi si riprenderà la sua vita e potrà farlo con serenità o con un rimorso immedicabile. Di quelli che non passano, ma che segnano l’anima: avere concorso alla condanna all’ergastolo di un innocente, al di qua di un ragionevole dubbio. O forse nella certezza che fosse davvero innocente! Non è tempo per soluzioni accomodanti. Questo è il tempo del coraggio e della verità».