L’imputato siciliano alla sbarra insieme a Filippone si difende in aula a Reggio prima di lasciare la parola agli avvocati per la sua difesa
Tutti gli articoli di Cronaca
PHOTO
«Non sono mai stato in Calabria e non conosco i Piromalli». Con queste parole Giuseppe Graviano, imputato nel processo ’Ndrangheta stragista che vede alla sbarra con lui anche Rocco Santo Filippone con l’accusa di essere i mandanti degli agguati ai carabinieri Fava e Garofalo, ha deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee prima di lasciare spazio ai legali per la sua difesa.
Durante l’udienza in corso alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, l’imputato ha ripercorso diversi processi che lo hanno visto coinvolto cercando di minare la credibilità delle dichiarazione dei pentiti che la Procura ha, invece, portato a sostegno della sua colpevolezza.
Da Villani a Nino Lo Giudice, Graviano ha ribadito in più passaggi la sua estraneità alla strategia stragista. Ed è proprio il cuore di questo processo, che vuole fare luce sul periodo più buio della storia d’Italia, fatto di trattative, intrecci e bombe, ad aver visto Graviano pronto a difendersi negando anche l’esistenza di una «doppia affiliazione».
In totale antitesi con la ricostruzione della Procura, che ha raccontato alla Corte, anni di trattative che hanno visto la ‘ndrangheta appoggiare e sostenere la strategia stragista di Cosa Nostra, Gaviano ha lasciato la difesa agli avvocati dicendosi estraneo a logiche: «Hanno raccontato fatti per sentito dire».
Chi è Graviano
Per Graviano il procuratore Giuseppe Lombardo ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, ovvero l’ergastolo. Il boss siciliano di Brancaccio e l’esponente della cosca Piromalli, sono accusati di essere i mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, uccisi il 18 gennaio 1994. Un agguato che, secondo la Dda di Reggio Calabria, rientra a pieno titolo nelle cosiddette “stragi continentali”, consumate nella prima metà degli anni Novanta da Cosa nostra e ‘Ndrangheta.