Alle 21.30 in punto, dopo quasi tre anni di processo, la Corte d’Assise di Reggio Calabria si è ritirata in camera di consiglio per decidere sulla richiesta di condanna all’ergastolo per i due imputati del processo “’Ndrangheta stragista”.

Dopo le due giornate dedicate agli interventi della difesa ed alla replica da parte del pubblico ministero, la parola ora passa ai giudici togati ed a quelli popolari, con in testa il presidente della Corte, Ornella Pastore. Come anticipato dallo stesso magistrato, la camera di consiglio «non sarà breve» e potrebbe durare anche diversi giorni. Del resto, la mole di materiale prodotta nel corso del processo è davvero considerevole. La lunghissima ed articolata istruttoria dibattimentale ha permesso una ricostruzione minuziosa dei fatti.

 

Le arringhe della difesa

Nella giornata odierna, vi sono stati gli interventi degli avvocati Aloisio e Vianelli per la posizione del boss di Cosa nostra, Giuseppe Graviano, imputato insieme a Rocco Santo Filippone di essere uno dei mandanti degli agguati ai carabinieri, avvenuti fra il 1993 e il 1994 e inquadrabili nella strategia stragista che coinvolse anche la ‘Ndrangheta.

L’avvocato Aloisio ha rimarcato più volte quelle che a suo avviso sono le contraddizioni emerse dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, con particolare riferimento a Nino Lo Giudice e Gaspare Spatuzza. Soprattutto nei confronti di quest’ultimo si è concentrata l’attenzione del legale che ha sottolineato come Spatuzza abbia dato, sugli stessi fatti, delle versioni diverse. Ed ha prodotto anche una sentenza nella quale si metterebbe in discussione la credibilità del collaboratore, il primo a parlare del coinvolgimento dei calabresi nelle stragi.

Per quanto concerne poi l’espressione «avevamo il Paese nelle mani», che Graviano disse nel corso dei colloqui con Umberto Adinolfi, nel carcere di Ascoli Piceno, Aloisio ha confutato la tesi della Dda, sostenendo che si trattasse di riferimenti alla Bolivia e non all’Italia.

All’intervento dell’avvocato Aloisio è seguito poi quello dell’avvocato Vianelli, suo sostituto processuale, il quale ha messo in risalto «l’assoluta vaghezza e inconsistenza del quadro accusatorio». Il legale ha sottolineato di non aver compreso «perché, sulla base di poco o nulla, si è fatto di tutto per costruire un’imponente sceneggiatura per cercare di dare una causale, una logica a qualcosa che di logico non ha nulla». E, rivolgendosi alla Corte d’Assise, ha detto che essa dovrebbe avere, «di fronte al vuoto probatorio», il coraggio di assolvere.

 

La replica del pubblico ministero

Non si è fatta poi attendere la replica del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che ha inteso rispondere tanto alle arringhe di ieri degli avvocati Contestabile e Sorace, quanto a quelle odierne. «Avete ascoltato un intervento difensivo – ha spiegato Lombardo – che si fonda su risultanze non di questo processo, ma di altri e che sono state già superate. Non riesco a cogliere il pregio di una arringa che elimina totalmente dal materiale due elementi di valutazione dirompenti, che certamente non esistevano quando quelle motivazioni del processo a Dell’Utri sono state scritte. Sono l prove dirette storiche provenienti direttamente dalla viva voce dell’imputato, costituite dalle intercettazioni tra Graviano e Adinolfi e dalle dichiarazioni che Graviano ha inteso rendere nel corso di questo dibattimento. Su questo non abbiamo ascoltato nulla». Lombardo si è a lungo soffermato anche su quella che è stata la tematica portante dell’intervento dei legali di Graviano: Gaspare Spatuza.

 

«Noi oggi non lo dobbiamo più valutare alla luce di quello che ha iniziato a dire nel 2008 e che è stato riscontrato in questo grande iter processuale. Oggi Spatuzza beneficia di un riscontro straordinario che non ha mai avuto: ha parlato Graviano. E quando lui ammette il contenuto delle intercettazioni con Adinolfi e, argomentando sui motivi che lo hanno reso rabbioso su determinati versanti, ci ha detto che Spatuzza ha ragione. E quando racconta degli accadimenti del gennaio 1994 racconta il vero». Quanto al riferimento della Bolivia, come «Paese nelle mani», Lombardo ha rimarcato come «alla luce della rabbia di Graviano, registrata e dimostrata anche nel suo esame, il Paese nelle mani non è la Bolivia. Non mi risulta, infatti, che Berlusconi avesse un ruolo in quell’ambito governativo».  

Circa la posizione relativa a Rocco Santo Filippone, Lombardo si è limitato a riportare alcuni dati già analizzati nel corso della requisitoria, non senza affermare come il difensore di Filippone, Guido Contestabile, «ha parlato del reato associativo, senza leggere il capo d’imputazione». Il pm, infatti, parla di soggetto che fa parte della ‘ndrangheta unitaria «e che ha una serie di relazioni per la sua partecipazione ex comma 2, e quindi con ruolo di capo, in relazione alla cosca Piromalli ed alla cosca Filippone». Lombardo ha poi ribadito che «colui che sa è Giuseppe Calabrò» ed ha effettuato una lunga disamina sui ruoli dei due esecutori materiali e su come quello effettivamente a conoscenza dei retroscena fosse proprio Calabrò, il quale «inizia a collaborare per depistare». Il pm ha rimarcato come «Villani non dice di non sapere chi fosse il mandante di quei delitti, ma che Calabrò non glielo disse mai esplicitamente. Disse però di averlo capito dai discorsi che Calabrò gli fece dopo gli incontri con lo zio».

 

Le dichiarazioni di Graviano

In conclusione di udienza, il boss Giuseppe Graviano ha voluto rilasciare alcune dichiarazioni spontanee: «Ho sentito più volte il pm che riferisce che io ho detto che mi è stato detto di accelerare con le stragi. Io queste cose non le ho mai dette, perché nessuno mi ha detto di fare le stragi». E poi ripetendo ciò che anche in passato aveva detto: «Se il procuratore Lombardo vuole scoprire la verità vada a vedere dal processo di mio padre, vada a vedere l’agenda rossa».

Alle 21.30 la Corte d’Assise si è ritirata in camera di consiglio per deliberare su un processo che potrebbe scrivere una pagina completamente nuova nella storia d’Italia.

 

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