Nessuna infiltrazione o condizionamento nelle scelte gestionali. Con questa motivazione è stata questa mattina annullata dal Tribunale amministrativo regionale l’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Crotone nel novembre del 2017 nei confronti della Puliverde, società crotonese di proprietà di Cesare e Mario Spanò, rimasti coinvolti, pur non risultando indagati, nell’inchiesta denominata Jonny.

 

La società crotonese risulta più volte citata nell’ordinanza di fermo emessa dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro nel maggio del 2017, dove si riporta una conversazione avvenuta tra un esponente di una consorteria mafiosa e il figlio riguardante il tentativo di imporre alla Puliverde, l’assunzione di un dipendente nell’azienda, tuttavia mai avvenuto. Per poi ricomparire a novembre nelle informative stilate dalla Guardia di Finanza. All’attenzione delle fiamme gialle finiscono parentele “scomode” e il rapporto di convivenza di una dipendente, coniugata con un soggetto ritenuto legato alla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto e suocera di un altro colpito da un provvedimento di fermo emesso dalla procura distrettuale antimafia di Catanzaro per associazione a delinquere di stampo mafioso.

 

 

È la prima sezione del Tar (presidente Vincenzo Salamone, estensore Pierangelo Sorrentino) a smontare però ogni collegamento. Nel primo caso, per i giudici amministrativi, il condizionamento non sarebbe sufficientemente provato poiché la conversazione intercettata risulta avvenuta tra persone del tutto estranee e slegate alla compagine societaria; nel secondo caso, il rapporto di parentela o di convivenza non prova l’influenza, anche indiretta, nelle decisioni della Puliverde.

 

 

 “Non sono stati prodotti – scrivono i giudici - da parte delle amministrazioni atti o elementi concreti, al di là dei vincoli familiari di una dipendente su una compagine di complessivi 135 lavoratori nel 2017 e di colloqui telefonici intercorsi tra soggetti terzi, dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa o dai quali comunque risulti che l'attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose”.

 

Luana Costa