Il gup distrettuale di Catanzaro, Claudio Paris, ha rinviato a giudizio dinanzi alla Corte d’Assise Cosmo Michele Mancuso, 71 anni, di Limbadi, Antonio Prenesti, 54 anni, di Nicotera, Domenico Polito, 56 anni, di Tropea, accusati di aver preso parte all’omicidio di Raffaele Fiamingo e al tentato omicidio del Francesco Mancuso, detto “Tabacco”. Fatto di sangue avvenuto nella notte del 9 luglio 2003 a Spilinga. Unica posizione stralciata quella del boss di Zungri, Giuseppe Accorinti, 61 anni, difeso dagli avvocati Francesco Sabatino e Giuseppe Bagnato che hanno eccepito la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per omesso interrogatorio. Il gup ha così disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero. Accorinti in tale procedimento è a piede libero a seguito di annullamento dell’ordinanza di custodia cautelare da parte della Cassazione, ma rimane detenuto allo stato per l’operazione Rinascita- Scott. 

 

 

Antonio Prenesti, alias Yo-Yo, indicato come uno degli autori materiali del fatto di sangue, è difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Francesco Sabatino, mentre Domenico Polito è difeso dall’avvocato Enzo Galeota.

 

 

Emanuele Mancuso (figlio di Pantaloene Mancuso, alias “l’Ingegnere”) ha confermato agli inquirenti il fatto che lo zio Francesco Mancuso, alias “Tabacco”, non andasse d’accordo con gli zii, tanto da creare nei primi anni 2000 un’autonoma articolazione del clan Mancuso impegnata anche in danneggiamenti nei confronti di soggetti già “protetti” dagli zii oppure a compiere azioni intimidatorie nei confronti degli stessi congiunti, prendendo in particolare di mira lo zio Cosmo Michele Mancuso e Pantaleone Mancuso, detto “Vetrinetta”.    

I propositi di vendetta. Le dichiarazioni più interessanti sulle fasi immediatamente successive all’omicidio di Raffaele Fiamingo ed al ferimento di Francesco Mancuso, arrivano dal collaboratore Angiolino Servello di Ionadi il quale all’epoca era uno stretto alleato del boss di Zungri, Giuseppe Accorinti, nel traffico di droga. Proprio da Giuseppe Accorinti, Angiolino Servello racconta infatti di aver appreso che per il fatto di sangue c’era all’epoca chi stava preparando la vendetta: un personaggio di primo piano della famiglia Mancuso, ovvero Pino Mancuso (cl. ’60), detto “Pino Bandera”, fratello maggiore di Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”, e fra i principali protagonisti dell’inchiesta “Decollo” contro il narcotraffico internazionale. 

 

 

Pino Bandera era all’epoca inserito, secondo i collaboratori e le risultanze investigative, proprio nell’articolazione guidata dal cugino Francesco Mancuso, detto “Tabacco” (Pino Mancuso assolto però in appello nel processo Dinasty), e quindi anche in netta contrapposizione al proprio fratello Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, collocato invece nell’articolazione del clan facente capo allo zio Cosmo Michele Mancuso. Pino Mancuso, secondo Servello, avrebbe voluto colpire Domenico Polito di Tropea, individuato come bersaglio proprio perché ritenuto facente parte del gruppo di fuoco che aveva agito sotto le direttive di Cosmo Michele Mancuso.

Secondo Emanuele Mancuso, infine, anche suo zio Francesco Mancuso in un’occasione gli avrebbe chiesto delle armi per vendicarsi dell’agguato subito. “Quel gran cornuto di Yo-yò è tornato a Nicotera” avrebbe confidato Francesco Mancuso al nipote Emanuele, manifestando così l’intenzione di colpire proprio Antonio Prenesti. Un proposito poi non andato a buon fine, anche perché nel frattempo – ottobre 2003 – scattava l’operazione “Dinasty” proprio contro il clan Mancuso e Ciccio Tabacco veniva arrestato insieme a tutti gli altri vertici della famiglia.